Narratore: Danilo
“Eccoli, eh! Lu Giulianu, lu Andrea, lu Ermannu, lu Lele e
tutti gli altri: li Negramaro. Nooo, sono legatissimi a Copertino: l’altro anno ci fecero la sorpresa e vennero
a suonare alla festa. Gratis, eh! Mica si pagarono. Legatissimi proprio”.
Come si siano congiunti, l’agiografia sacra di San Giuseppe e il mito
laico di Sangiorgi (e compagni), è un mistero che può svelare solo questo
paesone di quasi 25mila abitanti: è il quarto comune della provincia di Lecce
ma è un Salento a parte, da sempre chiuso in se stesso.
Chiuso
nella dolce ossessione per il suo santo protettore. Chiuso nella cura dei
campi, che sono il sangue che lo nutre. Chiuso come il castello nelle sue mura,
dal portone inesorabilmente sbarrato nella giornata di festa nella quale
facciamo sbarcare a Copertino la competizione tra Micco e Macco, le due squadre
che per un paio d’ore si daranno battaglia nel centro storico.
Prima
di arrivarci, siamo andati a riempirci gli occhi della meraviglia di Sant’Isidoro:
amministrativa- mente è una marina di Nardò ma solo un rettilineo d’asfalto lungo
qualche chilometro la separa da Copertino, che quindi la considera come la
spiaggia di casa.
Oltre agli occhi, ci siamo riempiti anche le pance di pesce
fritto, croccante e fresco, per la (evidente) felicità di Graziano: abbiamo due
new entry in squadra, Giovanna e Chiara, e la tavola è il modo migliore per
fare spogliatoio in vista della gara.
L’obiettivo è sempre lo stesso: trovare gli scorci più
suggestivi e soprattutto i personaggi più caratteristici, entrare in confidenza
per qualche minuto con gli abitanti e comprendere il carattere meno
superficiale di questa terra. Ecco perché pensiamo di essere capitati nel posto
giusto, quando Sebastiano, il tesoriere del comitato apre la porta quando Serena
e Monica ci passano davanti. Apostrofarlo (1 punto) e introdursi nei locali del
comitato (5 punti) è un tutt’uno. Come un tutt’uno è, in questo piccolo spazio,
la mite convivenza tra le due glorie di Copertino: quella sacra e antica di san
Giuseppe e quella moderna e musicale dei Negramaro. Il gonfalone con il santo
dei voli e il poster della band sono lì,
l’uno accanto all’altro.
“Guarda la dedica, guarda: al comitato festa San Giuseppe, sempre
impegnato a tutela della nostre tradizioni. E pure con affetto, hanno scritto.
Nooo, legatissimi sono”. Sebastiano è
affiancato da due altri componenti del comitato, dal nome latineggiante di
“Cantieri Josephini”, Salvatore e Ermanno (2 altri punti per noi). Superata la
perplessità iniziale, è diventato un fiume in piena: parla, indica, spiega, ci riempie le orecchie di aneddoti dei
Negramaro e le mani di riviste dedicate a San Giuseppe.
“Questa statuetta dorata è il cardinale Brancati, aiutò la
canonizzazione e quindi siamo devoti pure a lui. Due anni fa abbiamo inviato le
lettere ai copertinesi all’estero: 1.720 lettere abbiamo mandato, per chiedere
fondi per la grande festa del ritorno delle spoglie mortali del santo”. I tre
esponenti dell’associazione parlano proprio così, in un italiano misto di inflessioni
dialettali e termini derivati dal latino curiale: una perfetta sintesi della
cultura popolare, intrisa di chiesa e di campagna.
“E com’è andata la raccolta
fondi?” concretizza Monica. “Non c’è male: uno dal Canada ha perfino mandato
500 dollari. Ma la risposta più bella è stata quella di un emigrato in Francia.
Sono poverissimo, ci ha scritto, ma per san Giuseppe mio farei tutto. Non ci ha
mandato niente, eh! Però la lettera era bella, la teniamo conservata”.
Sonora
risata generale e molti saluti ai tre componenti del comitato festa: la loro
verace religiosità è bella, ma la gara incalza e i punti scarseggiano. “Ma come
funziona questo gioco?” ci chiede Salvatore; Serena gli spiega il regolamento e
lui scherza: “se tornate al castello, proprio davanti c’è casa di mia figlia:
suonate e vi sarà aperto”. Lo ringraziamo, senza dar troppo peso alle sue
parole, e andiamo avanti nel tour. Siamo in giro da un bel po’ e non abbiamo
concretizzato granché.
Eppure questa tappa copertinese era iniziato sotto i migliori auspici:
appena partiti, ci eravamo imbattuti in Danilo Rafaschieri, vecchio amico
dell’università. “Quindi, se vi saluto è già 1 punto?” ci abborda lui,
perfettamente edotto sul regolamento del gioco, le cui tappe precedenti ha seguito
su questo blog.
Tra grandi abbracci e sorrisi, finirà coinvolto nel selfie di
inizio gara, che però continuiamo da soli; il cielo si è annuvolato
all’improvviso ma ben presto si aprirà, regalandoci un pomeriggio azzurro e
lungo. Serena prova ad agganciare una signora il cui balcone si affaccia
direttamente sul castello, ma l’approccio non ha grande successo (e frutta 1
solo punto).
Basta lasciarsi i bastioni alle spalle e inoltrarsi nelle
vie sinuose e basolate, perché lo scenario cambi radicalmente: ci si apre
davanti un Salento meno sfolgorante e più autentico rispetto alle cartoline
arcinote; questo borgo ovale fatto di chiese, palazzi e case è poco noto,
schiacciato com’è tra la fastosa Lecce, l’azzurra Gallipoli, la ricca Galatina
e la fiera Nardò.
Eppure ha un suo equilibrio segreto, una sorta di terra di
mezzo che rimane ferma mentre tutto scorre.
Non c’è stradina del sud che non ne abbia una: una
finestra strategicamente puntata sulla via e una vecchina dietro i vetri ad
osservare chi passa.
“Buonasera, signora”: è Danilo, stavolta, a salutare la vecchina attraverso l’arco
d’ingresso, bianco di calce.
“Trasiti, entrate…” risponde lei (1 punto per
noi), indicando con ampi gesti la madonnina posta nell’angolo sotto la scala;
tutta la squadra non se lo fa ripetere due volte e, sotto gli occhi increduli
della debuttante Chiara, invade il cortile (guadagnando 3 altri punti).
Cesà
sale sulle scale per scattare la foto migliore, Danilo va in avanscoperta e fa
conoscenza con l’82enne signora, alle cui spalle spunta un uomo sulla 60ina.
“Mi chiamo Gioconda, piacere. Volevate
dire una preghiera alla Madonna?”. Le nostre intenzioni erano un po’ più laiche,
a dire il vero. “Siamo visitatori – spiega Danilo - stiamo facendo un gioco per scoprire
Copertino. Non ha qualcosa da raccontarci?”. “Uuh, figlio mio e che ti devo
raccontare? Più del miracolo che ho avuto da piccina?”. Sbarriamo gli occhi,
chiediamo spiegazioni. “Ma trasiti, entrate… che fate sulla scala? Avete sete?
Giuseppe, dagli da bere, alli vagnoni”.
Troppa grazia tutta insieme: entriamo
nella casa di Gioconda (5 punti), salutiamo Giuseppe (1 punto), beviamo un
dissetante bicchiere d’acqua (altri 5 punti) mentre dalla parete un Cristo in
technicolor osserva quanto accade e ci apprestiamo a sentire la storia del
miracolo di Gioconda, un vero e proprio cuntu che potete ascoltare per intero cliccando il link qui sotto
e che a noi frutta ben 15 punti.
Non sappiamo se sia stato un vero miracolo, quello di cui
Gioconda sostiene di essere stata protagonista quasi settant’anni prima e al
quale Giuseppe deve il suo nome, in onore del santo che con un provvidenziale
volo avrebbe salvato sua madre; di certo, la casa dell’82enne nonnina trasuda
religiosità: Cristo, padre Pio, la Madonna e l’immancabile san Giuseppe
sporgono da tutti i muri.
“Trasiti, entrate… guardate nella camera quanti altri
ne ho” ci dice Gioconda. E non mente: accanto al letto c’è un vero e proprio
altarino in cui si mescolano immagini di santi e foto di defunti. “Quello al
centro è mio marito, buon’anima – ci spiega – se ne andò per una malattia al
fegato che io avevo una trentina d’anni e nove figli. Per questo sono così
devota: se non mi aiutava san Ciseppu miu, da sola come potevo fare?”.
La sua logica semplice quasi ci commuove: salutiamo Gioconda
(“grazie, mi sono sfogata un po’, tornate quando volete”), ringraziamo Giuseppe
e torniamo all’aria aperta.
Ci
basta fare pochi passi e alzare gli occhi (e gli smartphone) al cielo per
trovare un altro contatto. “Mè, mo’ mi dovete mettere sopra a facebook?” chiede
la donna dal balcone con una vistosa scritta “vendesi” (facendoci raggranellare
1 punto). “Che fa signora, vende?” chiede Monica. “Noo: compro! – risponde lei
– ho già una casa a Sant’Isidoro e ora mi compro questa casetta qui a
Copertino. È bello il Salento, però… quanta sporcizia: ditelo ai vostri
sindaci, che facessero più differenziata”.
Potremmo replicare che Bari non
brilla per percentuali di riciclaggio, ma il discorso si farebbe lungo e
complicato: salutiamo la signora barese e proseguiamo per la nostra strada.
Dopo
tanto parlare di san Giuseppe, ci è venuta la curiosità di vedere i luoghi del
santo: fermiamo un automobilista per chiedergli informazioni. “Nà, e che fate
qui?” chiede. Lo conosciamo:è Massimo Alemanno, direttore sportivo del Casarano
Calcio, che ci indica la direzione (1 punto per noi).
Così percorriamo una stradetta intitolata proprio al santo dei voli che
si apre in uno slargo pulito, piccolo e bianco. Su un lato c’è una casetta, sulla quale è stata
costruita una piccola vela con una campana, che proietta la sua ombra sul muro
bianco della stradetta: è la casa paterna di Giuseppe Desa, come leggiamo nella
scritta che campeggia sul frontone dell’umile tempio.
Dall’altro lato dello slargo, invece, c’è la chiesa dedicata
a san Giuseppe; a renderla preziosa agli occhi dei copertinesi e dei devoti non
è né il fronte, semplicissimo, né l’interno, decorato a stucchi colorati senza
grandi pretese. È il locale annesso, cioè la “stalletta” dove nacque Giuseppe
Desa dalla madre Franceschina Panaca: la data è il 1603 e da allora la stanza
si è conservata perfettamente integra, ancora con il suo tetto di legno e
paglia e il suo grande camino seicentesco. Questa stalletta è anche il simbolo
delle origini umilissime del santo che diventerà protettore degli studenti: non
per la sua erudizione, attenti, ma per la sua testa dura.
Non è un caso che san
Giuseppe venisse chiamato “frate asino” da un genio del teatro contemporaneo come
Carmelo Bene, che era affascinato dall’estatica ignoranza del santo che sapeva
staccarsi da terra in quei voli che lo hanno reso famoso (e protettore anche
degli aviatori) e soprattutto a lui dedicò la sua celebre definizione “nel sud
del sud dei santi”. “Beh, andiamo avanti?”. È Graziano che freme per continuare
la gara.
Ricomincia il nostro tour: le nuvole si sono disperse da tempo, il
cielo è tornato azzurro e lucente e contro il suo splendore si stagliano otto
mensole di pietra scolpite che raffigurano frutta, mentre una bougainville
cremisi fiorisce ai loro piedi.
È evidente, questa giornata di fine aprile ci
vuole bene.
Le nostre due new entry si divertono: Chiara, per la quale
la giornata è semilavorativa, deve anche dividersi tra noi e l’ipad sul quale
legge mail e segue gli eventi, già predisponendo le corrispondenze che in
serata invierà a Repubblica.
Giovanna, che ha sfoderato il più policromo fra i
suoi cappotti, è in pieno mood da chiccèccè: ferma al volo una donna e le
chiede informazioni sulla città (1 punto per noi).
“Non ne so niente, son
tornata da poco dopo una vita in Germania” si schermisce lei.
“Ha fatto
l’emigrante? Potrebbe raccontarcelo” incalza Giovanna.
Non va meglio a Cesà,
che abborda una signora più policroma di Giovanna: “signora, possiamo
disturbarla?”.
Ci prova anche Graziano, ma alla sua richiesta di qualche
racconto tipico sulla storia di Copertino e dei suoi abitanti, la donna fa
cenno di no: “da poco sto in Italia”, risponde.
Ancora peggio va a Danilo: attacca
bottone ad un’intera famiglia, che si sta rinfrescando ad una fontana, ma i
genitori rispondono in un idioma misto di italiano e francese : “no, somo
turiste. Ci sapete dire dov’è il chateau?”.
“Ah, nnamo bene!” pensa fra sé
Danilo, pescando nei suoi ricordi scolastici qualche parola francese e
accontentandosi di 2 punti.
Monica, con praticità, entra in una corte: male che
vada, avrà portato a casa 3 punti; non le va malissimo, perché trova un
gruppetto di bambini a giocare.
“Mamma e papà non ci sono?” chiede lei; “non
sono fatti tuoi” gridano due di loro, tra boccacce e risate, che per lo meno ci
valgono 2 punti.
La gara insomma sembra tornata in salita: anche i mascheroni apotropaici ci guardano con aria ostile mentre circoliamo fra le strettoie del centro storico.
La situazione è così incartata, quando sbuchiamo di nuovo sullo
spiazzale antistante il castello. Ed è qui che incontriamo Angelo Vogna: “avete
trovato la persona giusta” sorride sotto i baffi questo simpatico ometto,
rispondendo alle nostre domande (il che ci vale 1 punto).
Angelo è il
presidente dell’associazione di tutela del borgo antico, di cui conosce ogni
basolo e ogni palazzo: è in giro a distribuire inviti per un convegno sulla
raccolta differenziata, organizzato dalla sua associazione. “Si chiama Vico
Serpe, come una stradina che si trova nel cuore del centro storico: serpe, perché
è curva come un serpente” ci spiega.
Monica e Serena non lo lasciano finire; è
appena ritornato alla mente il suggerimento di Salvatore, il componente del comitato
feste di san Giuseppe. “La figlia di Salvatore? Ma certo che la conosco, abita
lì davanti, se volete vi accompagno”, ci dice Angelo.
Detto, fatto: per la verità ad aprirci è il genero, Matteo (1 punto per
noi). “Entrate, ci avevano avvertito che forse sareste venuti” ci dice.
Tanta
gentilezza ci apre il cuore; entriamo nel cortile (facendoci guadagnare 3
punti), dove conosciamo Kiki: più il cucciolo di casa che un cane da guardia,
visto che si offre volentieri alle carezze di tutti noi. Saliamo le scale ed
entriamo in casa. “Ma che bella sala” si complimenta Chiara, stringendo la mano
di Alessia, la padrona di casa (1 punto per noi): sulla parete, l’immancabile quadro
raffigurante san Giuseppe.
“La parte migliore è il panorama” minimizza lei.
Come darle torto? Quando usciamo sul terrazzo, la vista spazia sull’intero
fronte del castello angioino di Copertino. “Che meraviglia” si incantano tutti,
di fronte a tanto spettacolo. Matteo sorride, orgoglioso. “È bello, sì”
conferma Alessia dalla cucina, dove si è già messa a preparare il caffè.
Chiacchieriamo sul terrazzo come se ci conoscessimo da sempre: Matteo, geometra,
Monica, imprenditrice edile, e Angelo, presidente dell’associazione per il
centro storico, si intendono al volo: regolamenti edilizi, lentezza degli
uffici tecnici, piani del colore.
Serena intanto aiuta Alessia in cucina e poco
dopo tornano entrambe sul balcone: la padrona di casa, trionfante, porta il vassoio del caffè (5
punti). Dietro di lei, accolta da una vera e propria
ovazione, arriva Serena recando coca-cola (altri 5 punti) e
cioccolatini (ulteriori 5 punti).
Si sta bene sul terrazzo baciato da sole e affacciato sul
castello, in quel piccolo nido che hanno messo su da pochi mesi i due ragazzi.
Cesà
imposta la sua fedele macchina fotografica: un autoscatto collettivo è d’obbligo e i
sorrisi, ve lo assicuriamo, sono autentici. Se il tempo non stringesse, rimarremmo
ancora a lungo a chiacchierare.
Ci alziamo mal volentieri, ringraziamo Matteo
ma non vediamo più Alessia. Ci raggiunge poco dopo, esitando, quasi scusandosi:
“se ho capito bene, vi dà molti punti” ci dice sorridendo. In mano regge un
vasetto dal contenuto color giallo oro. “Sono carciofi sott’olio, li ho fatti
io” spiega a Monica, letteralmente in visibilio per quella botta di punti: “beddha
mia, sono 35 punti, il massimo!”.
Sorridenti e carichi di punti, lasciamo
quella casetta davanti al castello che si è aperta a noi come una storia
semplice e gentile.
A guidarci stavolta c’è Angelo Vogna, che ci descrive
l’attività della sua associazione e la trascuratezza di un centro storico “che
potrebbe essere meraviglioso, con un po’ di cura e vigilanza”.
E ha ragione; in
pochi minuti, la parte più segreta del centro storico di Copertino ci si
spalanca davanti: percorriamo vicoli resi più belli dalla luce radente del sole
che inizia a calare; mentre avanziamo fra le stradine, alla nostra vista si
alternano chiesette settecentesche, come la cappella di Santa Maria di
Costantinopoli e piccole corti alle quali il tempo e la trascuratezza hanno
tolto smalto, compensandolo con una suggestiva decadenza.
Giovanna si imbatte nel più salentino tra i “divieti di parcheggio”: una
sedia che troneggia sulla strada, per impedire a chiunque di posteggiare l’auto
davanti al cancello dal quale una signora scruta i passanti. “Signora, possiamo
disturbarla?”. “No, figlia mia, aspetto gente: mi dispiace” ribatte lei,
facendoci guadagnare 1 solo misero punto.
Intanto Angelo
continua la sua visita guidata nel centro storico, di cui ci indica molti
splendori e qualche miseria. “Abbiamo messo cartelli dappertutto, chiedendo
rispetto innanzitutto agli abitanti del centro antico” spiega, mentre varchiamo
un arco, sfregiato dalle scritte spray di qualche vandalo. “Eppure abbiamo
ridipinto i muri l’estate scorsa – si sfoga– e sapete chi sono stati gli unici
ad aiutarci? Gli extracomunitari che vivono qui dietro”.
Non c’è traccia di
ideologia nelle sue parole, si vede che a spingerlo è una concretissima
passione per la sua città.
Chiediamo alle due ragazze che ci passano davanti se sappiano la storia del posto, ma loro ci guardano come marziani. “Non ne sappiamo niente” dicono ridendo (e regalandoci altri 2 punti).
Il nostro percorso ci porta,
ancora una volta, ad incontrare Danilo Rafaschieri, già incrociato alla
partenza: affacciato al balcone ci invita ad entrare nella corte: “Sono 3
punti, no? Vi farei entrare in casa, ma il bambino dorme”.
Andiamo avanti e la nostra strada continua le pieghe del
borgo, che ci schiude un tesoro nascosto fatto di portali lavorati come
merletti e di chiavi di volta arricchite da stemmi nobiliari, angeli con la
spada sguainata, mascheroni carnevaleschi.
Il più notevole è l’antico portale
di palazzo Pappi: secondo la tradizione fu realizzato da Evangelista Menga, lo
stesso architetto che cinse di mura e bastioni il castello angioino.
Il portale è il più illustre fra quelli dei palazzi gentilizi del luogo ed è, in qualche modo, uno specchio dell'attuale condizione del centro storico di Copertino: incantevole, ma trascurato. E chissà cosa penserebbe l'architetto Menga, che riuscì a fortificare il castello, ma non è riuscito a difendere la sua opera dall’assedio delle automobili.
Il portale è il più illustre fra quelli dei palazzi gentilizi del luogo ed è, in qualche modo, uno specchio dell'attuale condizione del centro storico di Copertino: incantevole, ma trascurato. E chissà cosa penserebbe l'architetto Menga, che riuscì a fortificare il castello, ma non è riuscito a difendere la sua opera dall’assedio delle automobili.
È a questo punto che Cesà intravede una donna sull’uscio di
casa e la blocca: l’occasione è propizia per ottenere una ricetta, il cui
punteggio manca ancora all’appello.
“Cosa sa preparare di tipico, signora?”. Lei apre le braccia un po’perplessa: “non so… le polpette?” chiede, un po’ esitante (1 punto per noi).
“Cosa sa preparare di tipico, signora?”. Lei apre le braccia un po’perplessa: “non so… le polpette?” chiede, un po’ esitante (1 punto per noi).
Per noi va benissimo: la ricetta (che potete
leggere e ascoltare qui) ci vale 10 punti e il saluto con l’anziana madre della
nostra “signora delle polpette” 1 altro punto.
La gara volge decisamente al bello, come il cielo Meraviglioso contro il quale si stagliano i lampioncini di questo borgo antico dal grande fascino.
La gara volge decisamente al bello, come il cielo Meraviglioso contro il quale si stagliano i lampioncini di questo borgo antico dal grande fascino.
Abbiamo insomma qualche sgocciolo di tempo da dedicare alla
conclusione del nostro viaggio nel grande corpo del borgo antico: ci infiliamo
tutti insieme in una corte. “Siete turisti? Salite sopra a fare foto, ci vanno
tutti” ci dice una signora dalla finestra.
Il suo consiglio ci frutta 1 punto (più 3 punti per l’invito a visitare la corte) ma soprattutto una bellissima foto sull’orizzonte fitto di case dal quale spunta la torre campanaria della chiesa matrice: è uno dei monumenti più importanti di Copertino, occorre visitarla.
Il suo consiglio ci frutta 1 punto (più 3 punti per l’invito a visitare la corte) ma soprattutto una bellissima foto sull’orizzonte fitto di case dal quale spunta la torre campanaria della chiesa matrice: è uno dei monumenti più importanti di Copertino, occorre visitarla.
“Biondo era e bello e di gentile aspetto”, secondo Dante
Alighieri, Manfredi di Svevia; ma il re di Sicilia doveva essere anche un
nostalgico e rimpiangere le fredde montagne germaniche dalle quali proveniva il
padre, l’imperatore Federico II.
Altrimenti non si spiega l’intitolazione che nella
seconda metà del 1200 volle imporre alla chiesa di Copertino, dedicata a Santa
Maria ad nives: la Madonna delle nevi venerata in una pianura secca e arsa, una
bella ironia voluta dal principe di Hohenstaufen. Ma anche uno
straordinario monumento, nato nell’anno mille, stratificato in quasi mille anni
di storia ed elevato a basilica pontificia nel 2011.
È il nostro ultimo sguardo sul centro di Copertino:
il tempo è ormai trascorso, velocissimo e denso, e dobbiamo ritornare al luogo
dell’appuntamento con l’altra squadra, Macco, al castello.
Sarà proprio qui che
faremo l’ultimo incontro del nostro tour: insieme a Stefano, dj di Radio
Salento (1 punto), incontriamo Arnaldo Stifani, un artista nato contadino e
divenuto scultore del legno d’ulivo (1 altro punto), tanto apprezzato da aver
ricevuto nel suo piccolo museo anche un ex presidente del Consiglio e un ex
presidente della Repubblica. “Eccoli lì: D’Alema e Scalfaro, sono venuti pure
loro” ci dice, orgoglioso, aprendoci il piccolo museo per mostrarci le sue opere belle e
ingenue e qualche vignetta che lo ritrae all’opera e regalandoci gli ultimi 5
punti di questa intensa tappa.
Ci ricongiungiamo ai nostri
amici-concorrenti di Macco, anche loro di ritorno da un tour denso e soddisfacente:
saranno i punti a definire il vincitore, ma di sicuro a vincere è stato
Copertino, un Salento laterale che ribolle di vita autentica e insospettata. Dalla
porta attigua al castello svetta, le braccia al cielo, la dolce ossessione del
luogo: un san Giuseppe che sembra salutarci e consigliarci di tornare, al più
presto, qui, a casa sua.
Reduce da una sconfitta di misura nella precedente tappa di Patù, la squadra "Micco" totalizza 138 punti nella tappa di Copertino, piazzandosi
per un'incollatura davanti alla squadra avversaria, "Macco" (il cui tour potete leggere qui). E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express": la tappa di Ruffano, che potete leggere qui. E, ovviamente, #chicceccè!
grazie per aver decantato in modo così splendido la mia città....
RispondiEliminaps. c'è una leggenda sulla chiesa madre, si dice che debba il suo nome ad un miracolo: la neve a copertino il 5 agosto... sarà vero?così dice mia nonna!
La ricorrenza della Madonna della Neve ha origine in un evento avvenuto, secondo la tradizione, a Roma nel 352 d.C. (http://it.wikipedia.org/wiki/Madonna_della_Neve), il cui lascito visibile è l'attuale basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
RispondiEliminaQuindi si tratta di un cuto appartenente all'intera chiesa locale, e non di un fatto specificamente copertinese.