venerdì 9 maggio 2014

Macco a Copertino, tra santi e falsi dei

Squadra: Macco 

Cercatori: Francesca S., Cesario, Andrea, Federica, Silvio, Francesca C. 

Narratrice: Gabriella
 

Una maglia alta, due basse e una bassissima a fermare il lavoro. Filo teso su nocche gonfie di acciacchi. Umidità, fatica e attese si  perpetuano in una trama fitta.
I veloci affondi dell'uncinetto sigillano, un cappio per volta, sospiri e Ave Maria.
Come grani di un rosario, le maglie si alternano  a comporre una trina di cotone bianco intrecciato stretto a diffidenza.  Tutta una vita,  quella della signora Teresa, trascorsa nel "basso" di tufo dalla volta a botte.
 

La prima porta che si spalanca alle incursioni di Macco, nell’ennesimo  centro storico salentino preso d’assalto, offre ai ragazzacci di Chiccèccè una lezione di uncinetto (e 5 punti per l’ingresso in casa). 
Un pomeriggio di festa, noi, sorretti da un’insensata voglia di equilibrio (in omaggio ai Negramaro  stars del luogo) e quattro "allegre comari": Gina, Torina, Teresa e Pina, per un totale di 4 punti in un'atmosfera tutt'altro che shakespeariana, ché qui non siamo a Windsor, chiaro no?!

Qui Copertino, ovest Salento, secondo decennio del XXI sec. Qui si cucinano ancora orecchiette con le cime di rapa e si friggono “frizzuli”. E ricette dunque siano, per gentile concessione di Torina e Gina, con il gradito condimento di 10 punti


Dal cinquecentesco castello, luogo designato per il  raduno di Micco e Macco ritrovatisi per contendersi la quarta tappa del tour salentino, ai sensi del regolamento, il percorso che ci ha condotto  fin sulla soglia di casa della signora Teresa nonché al suo uncinetto, è stato un inanellarsi di "nu sacciu, nu me sentu… ", "non ricordo", "sono straniera". La signora Francesca, con la sua seicento grigia, sgomma via sotto il muso di Andrea lasciandolo con un palmo di naso: “non saprei davvero e devo andare, mi aspetta mia figlia”. Rudina, colf albanese, intenta nelle pulizie, viene intervistata dalle speranzose Francesca S. e Federica, ma inevitabilmente fa spallucce e rifila loro il suo “non so”.

Fernando ed Anna, una coppia di coniugi appollaiati sull’uscio a godere del tepore pomeridiano, vorrebbero darci un libro “così ve le leggete le storie di qua”… “ca ieu nu sacciu, nu me sentu…” conclude poi l’uomo accarezzandosi la pancia fasciata in una maglia rossa.


Copertino, paese senza storia o paese con una storia da tacere? 

Il dubbio fa il paio con lo sconforto  spronandoci ad indagare su questa strana reticenza dal sospetto sapore di omertà; intaschiamo comunque 4 punti e procediamo.

I fatti, quelli consegnati dai secoli, li apprendiamo altrove e suonano simili  ad altri  già narrati nelle precedenti escursioni: i turchi (sempre loro), nel 924 la distruzione dei casali di Mollone, Casole, Cigliano e Cambrò; i superstiti (Conventio Popurolum)  raccolti in un preesistente agglomerato di origine bizantina, la ricostruzione. 


I Normanni, poi Carlo d'Angiò, i di Brienne e i d'Enghien con la principessa Maria (ancora lei)  meravigliosa figura femminile profondamente devota a questa  sua terra. Un affresco di notevoli dimensioni, discutibilmente collocato e conservato, raffigura un episodio emblematico  di quei tempi (Maria d'Enghien parte con il suo esercito  per difendere Taranto dall'assedio di Ladislao re di Napoli).


Poi fu lo splendore di tutta la prima metà del cinquecento con il dominio degli albanesi Castriota Granai, con le architetture dei complessi monastici e delle cinta murarie, con  l'ampliamento dell'antico maniero testimone di infinite successioni nobiliari, con la maestria dell'architetto Evangelista Menga.

Ecco, fatti appunto, cronaca documentata e accessibile con un click.
Macco però cerca cunti, tradizione orale tramandata attraverso circuiti che, sempre meno alimentati, ormai sembrano estinguersi.

Noi siamo ancora nel basso a contemplare ipnotizzati i ritmici gesti del lavoro di mani sapienti. 

Le quattro comari fanno le preziose; si sgomitano,  suggerendosi l’un l’altra  il silenzio con un “shhh” accennato tra i denti, e nulla più concedono alla nostra curiosità su Copertino.  Nemmeno la storia di quel santo che è raffigurato dovunque. 


Infatti, abbandonati pizzi e merletti e procedendo per l'ellittico reticolato disegnato dalle viuzze del centro, ci lasciamo sorprendere da  un’altra storia, parallela a quella delle varie dominazioni, una storia che si palesa quasi schiaffeggiandoci ad ogni svolta. 
L'agiografia di San Giuseppe, il santo dei voli e protettore degli studenti, si impone dappertutto in effigi di ogni fattezza.
Si incastona visceralmente alle architetture copertinesi, salda come diamante prezioso. 




Tra un busto, una nicchia e un affresco, ancora incontri: Andrea, una ragazza rumena a spasso con il suo cagnolino, avrebbe proprio voglia di raccontarci qualcosa, ma… non sa.
Un’anziana signora, interpellata attraverso i vetri della sua finestra, ci delude con un laconico “nu sacciu, nu me sentu…”. 

 
Idem un dolcissimo vecchietto fermato prima che sparisse risucchiato dall'abitacolo della sua 500 beige.  Lui e la sua esperienza hanno tutta l’aria di essere una preziosa risorsa,   invece si traducono nell’ennesimo buco nell'acqua con un "nu sacciu, nu me sentu…" (ANCORA!?) ripetuto come un refrain in risposta ad ogni nostra domanda , gesticolando, alzando le spalle fin quasi alle orecchie.
3 punti in totale per tre flop di seguito.

È l'aria che tira qui a Copertino, l'aria del "nu sacciu, nu me sentu…".
L'avevamo intuito fin dal primo contatto che l'impresa sarebbe stata ardua. 

 
Claudio, "disturbato" da Macco a inizio gara  nella sua ditta di impianti termici,  ci aveva giusto suggerito di visitare una piccola corte antica affianco al suo studio,  indirizzandoci poi vagamente verso la chiesa di San Giuseppe.

Poca roba ai fini del punteggio (un punto striminzito), anche se  lo scorcio indicatoci è davvero suggestivo. Il più antico stemma di Copertino (un pino con radici affioranti e incise ai due lati del tronco  la C e la P di quel Conventio Popurolum già accennato), sovrasta un arco in pietra leccese, una della poche strutture originarie del primo impianto urbano.


Da lì in poi, un susseguirsi di prospettive incantevoli ci rivela un centro dalle solide architetture sia religiose che civili. 


Altri incontri di scarso  rilievo e... brutti ceffi dietro l'angolo.  



Torniamo sui nostri passi per evitare la squadra avversaria e, attraverso un percorso alternativo a quello indicatoci da Claudio, passando da casa di Teresa di cui abbiamo già detto, ci ritroviamo finalmente  dinnanzi al santuario di san Giuseppe.



La costruzione fu edificata nel 1753 in occasione della beatificazione di fra Giuseppe Maria Desa (San Giuseppe da Copertino), intorno alla stalletta in cui nacque il santo, proprio dirimpetto  alla sua casa paterna. (Scopriremo più avanti, grazie alle informazioni del dott. Filoni, che la madre fu costretta a rifugiarsi lì per partorire, a causa degli affari del  marito “bonaccione” tampinato dai creditori). 

Marcello, sbucando provvidenzialmente da una strada adiacente al santuario, ha tutta l'aria di poter contribuire finalmente a rimpinguare il nostro scarso bottino di punti. 
Gli chiediamo notizie circa le tradizioni di Copertino e lui diventa un fiume in piena offrendosi di condurci nella sua bottega, ignaro di farci dono di 1 punto.
 

"Venite, vi farò vedere il presepe"...
Beh, suonerà pure anacronistico un presepe il 25 aprile, ma che importa!  


La  prospettiva di accedere ad un luogo privato ci alletta e non poco. 
In processione  al seguito di Marcello, raggiungiamo il laboratorio che s'affaccia in un vicolo chiuso, alle spalle della casa paterna di san Giuseppe.

"Ecco, vedete qui questo affresco? Vi è raffigurato San Nicola e anticamente ai piedi dell'immagine c’era un pozzo detto appunto di San Nicola. Si narra che San Giuseppe si divertisse a buttarci dentro i berretti dei suoi amici per poi farli prodigiosamente riemergere". 



Appuntiamo la preziosa notizia e finalmente varchiamo la porta della bottega di Marcello, conquistando immediatamente altri 5 punti.


 
Il presepe è una vera opera d'arte. Se ne sta lì a riempire un'intera parete e a farsi ammirare e fotografare come fosse una modella stesa su regale dormeuse. 

I crismi dell'arte di costruir presepi sembrano tutti rispettati. 
Il risultato è un incantevole equilibrio di proporzioni  e prospettive.



Venite in quest’altra stanza, ci sono le mura josefine perfettamente conservate”. 

Invitandoci a varcare la soglia del secondo vano della sua bottega, Marcello pronuncia quell’aggettivo dal suono dolcissimo che ci spiegherà poi essere relativo al periodo storico della vita terrena del santo.

Ci ritroviamo ad ammirare architetture tipiche del seicento salentino, in un equilibrato caos di elementi assemblati in maniera studiatissima. 



Abbiamo quasi l’impressione di muoverci in un set cinematografico:  un camino e, sotto la cappa, sospesi  pentola e  mestoli, come avessero espletato le proprie funzioni fino a poco prima; un secchio e la sua fune, appesi alla carrucola sul pozzo, sembrano aver pescato acqua giusto qualche istante fa; un soppalco di legno e canne funge da deposito soprelevato.






Attrezzi da lavoro sparsi dovunque e un  poster dei Negramaro  che, affisso in alto,  domina la stanza e ci  riporta ai nostri giorni. Già, i Negramaro!… 

Giuliano Sangiorgi contende lo scettro di beniamino al povero San Giuseppe che certo non gode  più dell’appeal di un tempo. 

È un luogo magico e accogliente la bottega di Marcello. Lui è un artigiano e lavora il vetro, il legno e la pietra. 


Sotto ai nostri occhi sfoglia un album fotografico delle sue creazioni: vetrate, lampadari, bomboniere… 

Questo posto era anche un negozio,  “Tiffany art”, poi la crisi… si sa no?! ed ho chiuso l’attività commerciale”. 

Il nostro amico deglutisce amarezza indicandoci gli scaffali impolverati. Qualche ninnolo, ancora in bella posta,  testimonia quanto ci appena accennato. Infine,  adulato dai nostri complimenti, ci regala un originalissimo  portafoto. 

Finalmente 35 punti e un po’ di respiro.  In realtà avevamo puntato il bellissimo lampadario in stile liberty, che eventualmente avremmo  sorteggiato tra noi giocando a morra cinese… ma tant’è; agguantiamo il dono, scattiamo un selfie di gruppo e via.


Gongolanti ci rimettiamo in strada e, giusto un isolato più avanti, scorgiamo Salvatore:  fuma rilassato una sigaretta seduto sullo scalino di un’abitazione. “Possiamo disturbarla qualche minuto? Può dirci qualcosa su Copertino e la sua storia, le sue tradizioni?!” è il nostro approccio.
 

Lui ci scruta tra le spire di fumo, tradendo un’espressione interrogativa. Probabilmente, incuriosito dall’asta telescopica della GoPro di Silvio, si chiede da quale pianeta veniamo.  Il nostro  puntuale accenno al progetto Chiccèccè ed è subito empatia (nonché 1 punto).

Ecco, io non so dirvi molto… ma mia moglie forse…” e sparisce dietro la porta della sua abitazione urlando “Marcellaaa…”. 


Ricompare con al seguito moglie e figlia. “Posso darvi la mappa dell’itinerario josefino, eccola…”. Consegnandoci una piantina del centro storico la signora ci invita però a non fotografarla… ché lei nemmeno alla laurea dei figli ha voluto essere immortalata  (e noi, ligi, sfumiamo i tratti delle donne).

Due chiacchiere sull’uscio, giusto il tempo di conquistare la fiducia di mamma e figlia (2 punti in più), e la porta di casa si spalanca alla nostra visita assegnandoci 5 punti.


Marcella con orgoglio si fa Cicerone tra le sue mura: “Ho fortemente voluto venire a vivere qui nel centro storico. Abbiamo acquistato dei ruderi e li abbiamo rimessi a nuovo”.  Il recupero è eccellente: asseconda le moderne esigenze abitative nel rispetto degli spazi preesistenti. Salvatore, serramentista, estrae da un cassetto  un album fotografico e, con dovizia di dettagli, angolo per angolo,  ci illustra le fasi del  restauro. 



Noi ci muoviamo prudenti tra mobili di pregio e tappeti appena srotolati sotto i nostri piedi. “Abbiate pazienza, finivo giusto le pulizie” si scusa Marcella nel condurci per casa. Come bambini al luna park,  sgraniamo gli occhi catturati da mille dettagli. 




La volta della sala è un’opera di Evangelista Menga, l’architetto del castello. Quel rosone è unico in tutto il Salento”. 

E guardate qua sotto!

Il padrone di casa ci indica una botola di vetro che consente l’affaccio su un granaio ipogeo. 

Storditi da mille infor-mazioni e dal guardar su, giù, a dritta e a manca, ci ritroviamo in giardino dove un forno a legna viene decretato all’unanimità “chicca della casa” (sommiamo quindi  3 punti al nostro bottino).

Dopo una puntatina nelle camere da letto, guidati dalla figlia che ci confessa essersi svegliata da poco e che si scusa per il disordine (quale?!), parrebbe giunta l’ora di togliere il disturbo, ma evidentemente abbiamo riscosso simpatia.
 
Marcella, che è una di quelle meravigliose donne salentine che trainano l’economia domestica (fa davvero tutto: dal lavoro di insegnante di sostegno, ai biscotti, alle marmellate, ecc.), vuol sottoporre al nostro giudizio il suo liquore di Mapo (frutto dell’innesto tra mandarino e pompelmo) e i suoi tozzetti. C’è anche l’acqua per gli astemi e ci sono le paste alla crema. 



Non abbiamo parole, tutto è davvero squisito: il liquore è delizioso, i biscotti teneri e profumati e per di più accantoniamo 20 punti grazie alla somma degli elementi della ricca  merenda.
 

Come ultima gentilezza la signora ci offre in un sacchetto i tozzetti avanzati. 

Proviamo a lasciare un Macco in segno di gratitudine, ma la gara è ancora aperta e potrebbe tornaci utile la formazione al completo.


Salutiamo, immortaliamo la gioia del Macco felice di non esser stato abbandonato,  e procediamo attraverso la zona che inequivocabilmente pare essere  il Bronx di Copertino.

Un’unica meravigliosa macchia di colore spezza il grigio tutto intorno.
 


È una donna di colore avvolta in un rosa illuminante. 

Il resto è degrado e abbandono. 


Il resto è la storia taciuta di questo luogo. È la pellicola riavvolta  di  “Fine pena mai” che quella storia l’ha spiattellata al cinema. 

È il sottile confine “in bilico tra santi e falsi dei” tutelati da enormi grate. 

Si susseguono vicoli, li percorriamo quasi intimoriti immortalandoli in furtivi scatti, fino a riconquistare la vista  del castello. 

Abbiamo ancora una manciata di minuti prima del termine posto a scadenza della gara. Ne approfittiamo per chiedere notizie ad Umberto che ha appena parcheggiato la sua multipla blu dalla quale scendono in sequenza due meravigliosi bambini, la moglie Anna e la cagnolina Vittoria. 

Oddio, avete fermato la persona sbagliata” Umberto ci confessa di vivere  fuori da quasi  quarant’anni, concedendoci 1 punto.

Però se avete pazienza, posso chiedere a mio padre se può ricevervi. Lui è anziano e abita proprio qui” Umberto è la gentilezza fatta persona e ci indica il portone verde alla nostre spalle… e lì si infila lasciandoci in compagnia di Anna (e noi sommiamo 1 ulteriore punto). 

Lei, attrice  toscana di Sesto Fiorentino,  è solare e, curiosissima della nostra indagine, ci martella di domande.

Le accenniamo in breve il progetto, le diciamo che abbiam voglia di scoprire i nostri paesi nelle loro pieghe più nascoste  e quindi di raccontarli in un blog. 

Si complimenta e ci accompagna al portone di ingresso da dove Umberto ci fa segno di accomodarci. Varchiamo la soglia e incassiamo 5 punti.

Una scalinata imponente ci conduce al piano superiore.
In soggiorno ci ricevono il dott. Antonio Filoni, agronomo,  la moglie Tina con una dote di 2 punti.




Umberto, presentandoci ai suoi genitori, dà il la alle narrazioni. I due arzilli vecchietti si contendono la scena. Antonio, detto Uccio, scava tra i suoi ricordi e ci dice dei conventi che un tempo erano numerosissimi. In particolare accenna al  convento della “Urteddha” (la Grottella) che sorge affianco al santuario mariano  edificato per custodire l’immagine della madonna ritrovata in una grotta.  San Giuseppe studiò proprio nel seminario francescano  di quel convento. Ed è a questo proposito che scatta il racconto di Uccio e Tina sulla storia di san Giuseppe e di un suo conterraneo, meno noto, il beato Silvestro: un cuntu che vale 15 punti e che potete leggere e ascoltare cliccando qui.
Il territorio di Copertino è notoriamente vocato alla produzione di uve. Ci vien naturale chiedere  all’ agronomo notizie sull’attuale situazione dei vigneti. A questa domanda il dott. Filoni si commuove: “Sono stato per vent’anni presidente della Cantina Sociale di Copertino. Insieme a quella di Nardò erano le uniche a responsabilità illimitata. Capite bene da voi quanto impegno e dedizione  abbia richiesto il mio incarico”, fa una pausa, densa di ricordi e rimpianti… “ora non c’è più niente” e scuote la testa rassegnato all’ennesima storia da  tacere.

È il tempo del commiato. Tina, da ottima padrona di casa, non ci lascia andar via senza offrirci almeno un cioccolatino. Scatta dalla sua poltrona e va a scovare chissà dove una ciotola colma di Lindor.


Intanto Anna, aiutata dal figlio maggiore, dà da bere agli assetati. Il fratello minore, dopo averci salutato (1 punto), è andato a giocare con il suo Nintendo. Gli ultimi 10 punti per Macco hanno il gusto dolce del cioccolato e la freschezza della disponibilità del piccolo Filoni (1 punto).

È tempo di andare. Si chiudono le porte sull’avventura copertinese. 



Le squadre si riuniscono là dove il gioco ha avuto inizio. Dopo la risicata vittoria di Patù, sarà di nuovo scacco a Macco? 
 
Tu Vittoria che dici? Con quel nome di così buon auspicio, vorresti farci da mascotte? “Nu sacciu, nu me sentu…bau…” 


Nonostante il beneaugurante nome della loro mascotte, la squadra "Macco", reduce da una vittoria di misura nella precedente tappa di Patù, totalizza 135 punti nella tappa di Copertino, piazzandosi per un'incollatura dietro la squadra avversaria, "Micco" (il cui tour potete leggere qui). E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express" ovvero il tour a Ruffano, che potete leggere qui. E, ovviamente, #chicceccè!



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