mercoledì 19 marzo 2014

Macco per le vie di Soleto, sospesi tra Oriente e Occidente



Squadra "Macco"

Cercatori: Gabriella, Francesca e Silvio

Narratore: Rocco


 
Vivere in questa porzione di Salento, in questa lieve sospensione tra un Levante spesso ingombrante ed un Ponente ancora ritroso concede ai fortunati la scelta di sentirsi più Oriente o più Occidente, magari anche soltanto a seconda dell’umore del momento o della direzione imboccata dalla propria auto mentre si decide di trascorrere una domenica pomeriggio diversa dal solito. Levantini ed occitani in una meravigliosa mescolanza che fa della popolazione salentina una sorta di melting-pot ante litteram nel quale convivono racconti e vissuti che fanno di questa estrema propaggine d’Italia una terra prepotentemente immaginifica e visionaria.
 
Una primavera che trepida per mostrarsi in anticipo, un gruppo di amici e la voglia di mettersi in gioco anche attraverso la (ri)scoperta di un Salento ignoto e non patinato, il desiderio di farsi veicolo e strumento di narrazione errante e… "chiccèccè!"
 
Soleto e le sue storie. Soleto e le sue pietre. Soleto ed i suoi gioielli. Soleto e le sue "coremme". Soleto e la sua prepotente carica di umanità. Soleto Micco e Macco, le due squadre nelle quali si sono divisi gli amici e che avranno il compito di raccontarvela. Di raccontarvele, ché di cose da raccontare ce ne sarebbero davvero non poche. 
Gabriella, Francesca, Silvio e chi scrive… al cospetto della Porta di S.Vito, l’ingresso che introduce nel cuore antico del paese, in una duplice condizione: quella di avventori titubanti e guardinghi e quella di impavidi curiosi sostenuti dalla voglia di scoprire una bellezza (ancora) sconosciuta. 

Non ci vuole poi molto a capire che curiosità e desiderio di varcare nuove soglie avranno la meglio, in men che non si dica.

L’orologio, il sole alto e la consueta quiete post-prandiale le ragioni che ci fanno percorrere un intricato budello fatto di viuzze che si rincorrono, s’intersecano, s’abbracciano in un labirinto di luccicanti basoli e d’imponenti muri e portali, limiti prepotenti d’antiche e nobili dimore che hanno ancora voglia di raccontare storie. 

E tutto ciò mentre i nostri sguardi continuano ad essere rapiti dall’irresistibile malìa di un gioco che li porta in alto: sberleffi, balconi, ghirigori in pietra, canali di scolo sapientemente ritagliati in questa nostra meravigliosa pietra, balaustre e chiavi di volta che si stagliano con forza sul celeste di un cielo che si fa parte integrante e straordinaria quinta scenica  di quest’avventura e che conserva, muto e geloso, i segreti delle vite che si sono consumate proprio in queste case e su queste stradine, quasi a volerne perpetuare il fascino per farne dono a chi ha voglia di percorrere sentieri diversi e poco battuti.

Ed è un continuo fotografare, non soltanto con gli obiettivi delle digitali e degli smartphone (Silvio ha con sé addirittura la GoPro e le sue foto promettono di essere straordinarie) ma anche, e direi soprattutto, con la voracità degli occhi che non intendono consegnare all’oblio quelle immagini.

Osservare, spogliare, fissare e catturare il dettaglio di una pietra che si consuma sotto i segni del tempo e che ha trasformato le colonne erettili ai lati del portale di una chiesa in un singolare alveare in cui il vuoto si lascia penetrare dalla luce accecante.

Eh già, perché in questa nostra straordinaria terra il sole e la sua luce vivificante sono prime parti nella narrazione della storia, delle storie, sono loro molto spesso a determinarne i prologhi ed a definirne gli epiloghi ed abbiamo contezza di ciò proprio mentre esploriamo anfratti ed angoli di questo dedalo.

La gara è appena iniziata e noi ne abbiam già perso il senso, letteralmente rapiti da bellezze artistiche alle quali dovremmo essere avvezzi e che invece ci strordiscono nemmeno fossimo turisti digiuni di Salento.

Chi ha ben chiaro in mente lo scopo del gioco è Gabriella la quale, assolutamente ignorata dal resto della compagnia, interroga la prima forma di vita che le si palesa nell'apparente deserto del centro storico soletino. "Scusa, posso disturbarti un momento? Avresti qualcosa da raccontarmi sulle tradizioni popolari di Soleto?". Il ragazzo interpellato è giovane e abbozza un "No, non saprei" facendoci incassare la prima delusione (ma anche 1 punto per il primo contatto). 

Procediamo dunque senza meta incanalandoci per la zona che sembra inviarci segnali di vita grazie a panni stesi ad asciugare e ad imposte aperte.


Ci giungono dapprima suoni idiomatici sconosciuti e subito dopo, dall'angolo di un vicolo, sbuca una donna sulla quarantina che ha appena salutato una sua amica affacciata al balcone. 

È una badante rumena, venuta a lavorare qui, in questo ovest dalla vocazione levantina. Gabriella, sconfortata dall'aver percepito che trattasi di abitante non oriundo, le chiede notizie su qualcuno lì in zona che possa raccontarci di "macare e caremme" (e guadagna 1 altro punto). La badante sorride e, in un italiano perfetto, le indica di proseguire per la stessa strada. "Più in là c'è sicuramente chi potrà esservi utile".

Ed è proprio a pochi metri più avanti che, approfittando del sole caldo Adriana, si presenta a noi con il bucato appena raccolto dal terrazzo avvolto tra le mani a mo’ di fagotto ed evidentemente incuriosita da questi quattro ragazzi che con fare strano si aggirano proprio intorno casa sua.


Gabriella, capace di conquistarla subito (e, con lei, 1 altro punto): “Signora, noi avremmo bisogno di qualche informazione e sappiamo che lei potrà certamente darcela, vero?”.  Adriana: “Certo, belli miei, cosa volete sapere?”. 
Ah, le donne! Adriana diventa subito il nostro mito, la nostra salvezza, uno scrigno che non ci mettiamo molto ad aprire e che ha voglia di dirci, di mostrarci, di raccontarsi.

Un inanellarsi continuo ed inarrestabile di racconti d’infanzia, di ricordi a volte labili e confusi tra i rivoli di date, eventi e persone, a volte presenti e forti quasi fossero dettagli del giorno prima; un racconto avvincente ed incalzante che procede a ritroso sino a quel Matteo Tafuri, scienziato, alchimista, astrologo e figura controversa nella cui casa Adriana sostiene d’esser stata. 
 
Nonne, "cummari", "macare" e nobili dame, sacerdoti, vescovi chiacchierati, nobili potentissimi, soldati, eserciti, invasori, santi e narratori: le parole di Adriana un mirabile caleidoscopio nel quale si fondono e si perdono le vicende di una Soleto crocevia tra quell’Est e quell’Ovest che qui ancora convivono lasciando tracce evidenti della loro essenza e della loro diversità.
Ragazzi, ma ora non lo volete un caffè? A me farebbe piacere offrirvelo”. E caffè sia (anche perchè fa guadagnare 5 punti alla nostra squadra). 

La casa di Adriana  è un po’ lo specchio delle sue parole: ninnoli, mensole, centri e centrini, sontuose bambole di porcellana sedute su ripiani che accolgono di tutto, tazze e bicchieri a far bella mostra di sé nella vetrina degli oggetti importanti, poltroncine e che sanno d’antico e quell’aria a metà tra il misticismo della naftalina ed il pragmatismo del soffritto il cui odore è ancora perfettamente percepibile nel cucinino. 

E’ un luogo tutto sommato meraviglioso la casa di Adriana, senza alcun filtro e con la bellezza di un’autenticità che riassume un vivere verace e senza fronzoli.

Guardate un po’, ragazzi…” e davanti a noi, in una camera da letto ordinata e sistemata meglio che non una camera d’albergo, un delizioso letto matrimoniale in ferro battuto su cui si stende un copriletto in velluto rosso interamente coperto dalle ossessionati e geometriche ripetizioni di decine e decine di applicazioni all’uncinetto: un capolavoro di manifattura del quale Adriana è giustamente fiera perché ricordo del lavoro della nonna. Chapeau ad una maestria che ormai non è più.

Salento d’amare, anche per questo!

Beviamo il caffè e salutiamo grati ed affettuosi la padrona di casa… 

"Ragazzi, quando finirete il vostro giro se vi va potrete tornare, due frise non si negano a nessuno”. 

 







Passare dallo sconforto di camminare in un centro deserto e con il timore di non incontrare nessuno alla gioia di un invito a cena di Adriana è, forse, la cosa più bella che ci potesse capitare in questo pomeriggio di meraviglie.

Riprendiamo la passeggiata ed è subito Simone Russo, giovane artista soletino, scultore del legno che, praticamente braccato, si mette a disposizione per farci scoprire le bellezze nascoste di questo luogo. 

Non prima però di spalancarci le porte del del suo studio, anche se è domenica (l'approccio ci vale 1 punto, la visita altri 5). 


Le sue opere lignee sono leggiadre e perfettamente integrate nel contesto di un centro storico a tratti morente, ma che anela ad una rinascita che, siam certi, passerà anche attraverso l'entusiasmo dei giovani soletini come lui. Simone, cresciuto nella bottega del padre falegname, ha saputo inventarsi un lavoro mettendo a frutto il suo estro artistico; disegna, dipinge, scolpisce il legno ed insegna. I suoi lavori ci conquistano, almeno quanto la sua disponibilità

Silvio ne approfitta chiedendogli informazioni circa la chiesa di Santo Stefano, luogo che sa già essere di notevole interesse. 
 
E Simone non lo delude: "Ho giusto il numero di telefono della persona che fa per voi, è Francesco ed è mio amico: è un accompagnatore turistico ed ha le chiavi della chiesa. Vi dirà tutto ciò che vi sarà utile sapere”.

Non sarà forse che abbiamo Giove a nostro favore? In pochi minuti ci raggiunge Francesco Manni e, disponibilissimo, si offre subito per accompagnarci a visitare la chiesa di Santo Stefano.
Dirigendoci verso la chiesetta,  un'anziana sull'uscio di casa ci guarda incuriosita. Un "buonasera" corale a lei diretto ed è subito empatia.  

La porta di casa si spalanca in un inatteso "trasiti ca ve mmosciu 'na cosa" (5 punti per noi).
Tetta è un’arzilla ottuagenaria che sembra stesse aspettando proprio noi. La sua casa, due stanze: la prima occupata per quasi la metà da un enorme telaio in legno, l'altra è una camera da letto che si intuisce sbirciando oltre una porticina. 

Quello che inizia senza alcuna esitazione è un racconto ricchissimo che si dipana tra trame ed orditi, sudori e mal riposte fatiche, sogni e soddisfazioni; il tutto avviluppato intorno a quello strumento di lavoro che sembra essere una sua appendice. 
 
Un  microcosmo  trionfo di fotografie, di suoi capolavori, di attestazioni e riconoscimenti. E’ la sua storia, è la sua vita. Ed è sorriso, ancora e nonostante il tempo che non perdona. 

"Che peccato non avere il lavoro montato, altrimenti vi farei vedere come funziona il telaio. Però... aspettate..." e, avvolta nel suo scialle di lana, a piccoli passi si dirige in camera per uscirne subito dopo con in mano una borsa tessuta con motivo a rilievo: il suo orgoglio,  la sua passione.  È però tempo di lasciare Tetta e continuare la nostra avventura.  


Camminare con Francesco nel cuore antico di Soleto è quasi come aprire e scorrere le pagine di una guida illustrata le cui didascalie ci arrivano attraverso la voce di chi conosce la storia di ogni singolo basolo, di ogni singola porta, di ogni palazzo e di ogni angolo del paese; un paese che, voglio ripeterlo, ha conosciuto l’abbraccio benefico tra la tradizione bizantina e quella occidentale che si è tradotto in meraviglie senza pari. Tra queste spicca certamente la magniloquente, ancorché piccolissima, chiesa di Santa Sofia e Santo Stefano consegnata alla memoria dei posteri quasi esclusivamente col nome del secondo santo forse per il timore di sentire ancora troppo forte il peso di un Levante ingombrante e prepotente.

Si tratta di un vero e proprio scrigno che, non appena aperto dalla chiave della nostra guida, ci offre una visione paradisiaca e sconvolgente al tempo stesso: a parte il pavimento, ogni centimetro quadrato di quel luogo è ricoperto da affreschi meravigliosamente conservati e di chiara matrice giottesca. Per un attimo ho la sensazione di rientrare nella superba Cappella degli Scrovegni di Padova! 

Anche questa chiesa è, in realtà, una chiesa commissionata da una delle più potenti e nobili famiglie salentine che hanno scritto la storia della nostra terra, quegli Orsini del Balzo troppo filo-papali per non essere cattolici e troppo scaltri per ignorare la tradizione bizantina ed ortodossa. Un superlativo connubio tra due tradizioni e due mondi che si contendono la supremazia ed il potere e che, malgrado ciò, riescono a convivere in una mirabile espressione del Bello. E chissà, se Soleto non fosse stata in finibus terrae ma in quell’Italia papalina quattro-cinquecentesca probabilmente oggi questo ciclo di affreschi sarebbe patrimonio dell’Umanità.



Francesco ha sete di divulgazione e generosamente ci accompagna con il suo mirabile racconto lungo il tracciato segnato dagli affreschi, partendo da quel Cristosophia effiggiato nell'abside fino agli ultimi del ciclo dei santi. Sant'Antonio Abate e San Nicola di Mira, ritratti nel gesto della benedizione cattolica il primo e ortodossa il secondo, ancora una volta ci ricordano il connubio magico di questo luogo fatto di simbiosi tra est ed ovest.

Oriente ed Occidente, contrapposte fazioni geografico culturali si fanno amalgama perfetta sulle pareti affrescate di questa chiesa, in questo borgo, esattamente come Micco e Macco mentre calpestano selciati antichi alla ricerca di storie da raccontare e punteggio da acquisire. 

Eh già, il punteggio! Inebriati dai pizzi di Adriana, dalle sculture di Simone, dal telaio di Tetta e dalla loquacità di Francesco, la mia squadra pare abbia perso nuovamente di mira lo spirito pragmatico della sortita soletina (anche se la visita alla chiesa, luogo chiuso che ci è stato aperto da un autoctono, vale 5 punti). 

L'eccezione, a dire il vero,  continua ad essere Gabriella la quale decide,  d'impeto, di chiudere la porta in faccia al terzo componente della squadra avversaria affacciatosi per sbirciare gli affreschi di Santo Stefano (con le conseguenze che si possono leggere qui). 

Il dubbio che la nostra compagna sia stata pervasa dallo spirito delle "macare" di Soleto serpeggiava tra noi già fin dai suoi mal celati entusiasmi in casa di Adriana. Ora ne abbiam certezza. Sta' a vedere che ci toccherà esorcizzarla a fine giornata.
Soleto è stata prescelta come teatro di sfida per un preciso motivo: la ricerca delle "caremme". Ancora però non v'è traccia dei fantocci delle "vedove" del carnevale. Sono raffigurazioni di vecchie brutte ed emaciate, vestite di nero in segno di lutto per la dipartita del consorte Carnevale. Sono simbolo di penitenza quaresimale (caremma pare derivare dal francese "carème" , quaresima appunto) e il giorno di Pasqua verranno bruciate dallo scoppio di mortaretti, in segno di catarsi. Sacro e profano ancora mescolati nel cuore della Grecìa Salentina.

Usciti dalla chiesa di Santo Stefano continuiamo il pellegrinaggio per i vicoli del centro. Si susseguono palazzi nobiliari e case più modeste tutto in un alternarsi di stemmi araldici, motti incisi su portali e simboli apotropaici scolpiti negli angoli delle mura che segnano le vie. E, appollaiata sulla balaustra del balcone di un palazzo cinquecentesco, finalmente scorgiamo lei.

-"La caremma!"- urla Francesca puntando il dito in alto ad indicarcela. -"La cOremma" - precisa Antonio che finora ci ha seguito silente accodandosi alla nostra strampalata processione. 

-"A Soleto le chiamiamo "coremme" e questo palazzo è la sede della nostra associazione,  La Nuova Messapia. Siamo molto attivi sul territorio e  ci stiamo interessando, in particolare alle problematiche relative alla tutela dell'ambiente". 

Silvio si lascia scappare uno speranzoso -"Sarebbe bello entrarci"- e la chiave gira già nella toppa dell'antico portone a spalancarci la vista sull'ennesima meraviglia (fruttandoci altri 5 punti).

Nuovamente sbalzati indietro nei secoli, grazie a questa fantastica macchina del tempo che si aziona con la semplice apertura di un uscio,  ammiriamo ora un delizioso cortile che si fa prologo di un salone dove possiamo ammirare le incisioni su di un vecchio camino in pietra, il soffitto spiovente in "cannizzo" nonché l'architrave sbilenca di uno strano portale.


 Dal cortile poi, una scaletta devvero minuta ci conduce fino in cima al balcone della "coremma" . 

Ci inerpichiamo timorosi, facendoci piccoli per adattarci a quella architettura intanto che lo sguardo viene catturato dagl' "imbrici" (cocci) perfettamente conservati ed incastrati a farsi copertura.

 Una nuova prospettiva,  questa dall'alto, che ci consegna la Soleto dei tetti: tegole, chianche, comignoli, canali di scolo e un cielo di sola luce che fa da schermo  a questa proiezione senza tempo. 

La coremma ci attende immobile, e finalmente  giunti al suo fianco, ci stringiamo per la foto di rito, con tanto di moka ché,  nel paese delle "macare" e quindi della magia, tutto è possibile, anche farsi offrire il caffè da un fantoccio.
La missione parrebbe così conclusa,  Francesco però ci tiene a raccontarci di uno dei campanili più famosi della provincia e, guidandoci per nuovi percorsi, ci conduce alla Guglia di Raimondello Orsini.

Lungo il tragitto,  la casa di Matteo Tafuri cattura la nostra attenzione.
 Memori dei racconti leggendari di Adriana, ci scappa tra i denti -"Qualcuno ha anche le chiavi di questo luogo?"- i nostri  amici sono davvero dispiaciuti nel doverci consegnare un "no", ma ne approfittano per dirci, con fierezza, delle gesta di questo loro concittadino. Studioso di alchimia,  astronomia,  medicina, astrologia, filosofia e fisiognomica, dopo aver vissuto e studiato per anni in altre città di Italia e all'estero,  fu accusato di stregoneria proprio nella sua Soleto, dove si ritirò per condurre un cenacolo di allievi filosofi. La casa è in evidente stato di abbandono, gli eredi, coscienti del valore storico dell'immobile, venderebbero ad un prezzo assurdo.

A noi non resta che la consolazione di sbirciare, attraverso un cancelletto di fortuna, l'architrave di un antico arco dove è inciso il motto del Tafuri: HUMILE SO' ET HUMILTÀ ME BASTA. DRAGON DIVENTARÒ SE QUALCUN ME TASTA (chiara manifestazione di natura mite che poteva trasformarsi in quella di un dragone a causa delle dicerie sul suo conto).
Ci allontaniamo da quel luogo che ci ha rattristati a causa dell'incuria. 

Francesco nel corso del cammino continua a raccontarci delle imprese del filosofo alchimista suo concittadino, della sua predizione circa il buon esito della battaglia di Lepanto... quando la Guglia del Raimondello, imponente,  improvvisamente si palesa ai nostri occhi. 
E sono ancora leggende, allegorie, simboli apotropaici, il tutto incastrato in forme e decori che si infittiscono fin sulla cima del campanile. 

Ai quattro angoli i grifoni che la leggenda vuole pietrificati dallo stesso Tafuri al canto del gallo che annunciava il nuovo giorno, dopo che insieme ad altre figure diaboliche,  lo avevano aiutato ad edificare la guglia in una sola notte. 

Negli angoli più in alto, quattro bracieri che servivano ad accogliere le fiamme segnaletiche, ché questo è sì un campanile, ma fu anche torre di avvistamento, centralissimo faro nel cuore del Salento, posto esattamente a metà strada tra la costa di oriente e quella di occidente.  

Ecco dunque ripresentarsi l'eterna dicotomia in tutto l'immaginifico splendore architettonico della guglia di Raimondello.  Est ed ovest, umano e divino... Micco e Macco. A volerla dire con una sola parola, Soleto.

Con la tappa di Soleto, la squadra "Macco" guadagna 29 punti, piazzandosi alle spalle della squadra avversaria "Micco", la cui gara potete leggere qui. E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express". E, ovviamente, #chicceccè!


4 commenti:

  1. Non ho parole! e se questo è il prologo...!
    E' tutto originalissimo,apparentemente semplice: 'Chiccèccè' , 'Micco' e 'Macco' e via a raccoglier punti...un gioco da bambini che si dilettano a farsi regalare caramelle.
    I due stili sono complementari, perfetti. Ragazzi non mollate l'osso; divertendovi state comunicando cultura,tradizioni,bellezze,odori,partecipazione. Alla prossima.

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  2. Gabriella, Francesca, Silvio e Rocco. Senza di voi non avrei scoperto e non mi sarei innamorato di Soleto e della sua bellezza. E' un invito a ripercorrere personalmente questo itinerario. Grazie a tutti voi !

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  3. Essendo di Soleto, ci tenevo a sottolineare che gli abitanti si chiamano "Soletani" e non "Soletini"!

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