Squadra: "Macco"
Cercatori: Francesca C., Andrea, Federica, Francesca S. e Silvio.
Narratore: Rocco.
Come fosse un piccolo totem,
Valentina esibisce un vasetto di
marmellata di mele cotogne, prestandosi simpaticamente ad una posa da
selfie circondata dagli increduli Macco. Uno scatto immortala il colore intenso
di un dono e diventa sigillo di una sfida che, probabilmente, segnerà la prima
insperata vittoria di Macco nel tour salentino di Chiccèccè.
Teatro di questo strabiliante risultato è la
casa della professoressa Valentina Grecuccio, a Patù. Lì la penisola salentina
si restringe fino a consegnarsi a Santa Maria di Leuca e, da qui, allo Jonio:
un agglomerato urbano grande poco più di un fazzoletto ed interamente dominato
dalla Serra di Vereto, antico e glorioso presidio messapico del quale restano
la memoria e l’imponenza immaginifica dell’originaria struttura.
Patù, nel profondissimo Sud di un’Italia, di
una Puglia, di un Salento che non smettono mai di sorprendere, un paese con un
imprinting ineludibile nel proprio topos e con un’insopprimibile voglia di
raccontarsi e di raccontare la sua storia, un paese che non si rassegna
all’oblìo di chi vorrebbe preferire luoghi più patinati ma, spesso, meno
vissuti nel senso più verace dell’espressione e decisamente più contaminati.
Un sabato pomeriggio d’inizio
aprile, uno di quei giorni in cui, senza la certezza del calendario, non si
saprebbe definire la stagione. Il cielo minaccia una pioggia che non verrà ma,
che incombe penzolante proprio come spada di Damocle. Forte soffia un vento che
viene dal mare, quello scirocco ebbro di umidità che sconvolge e sfianca ma che
è il suono più autentico della nostra terra. Nel complesso l’aria si tinge di un
grigio insensato.
Macco e Micco di nuovo insieme,
Macco e Micco di nuovo in gara, Macco e Micco di nuovo in cerca di parole
d’ascoltare e di vicende da narrare, Macco e Micco a fotografar volti, case e
pietre di una vitalità spesso nascosta ma così ricca di umanità. Un giro per i
luoghi di un Salento estraneo alle copertine eppur così autenticamente vero, e
Patù ci accoglie col fascino senza tempo di un paese quasi ai margini di una
contemporaneità che, però, sa ancora custodire la gloria di quel passato che lo
ha voluto importantissimo centro messapico.
A sugellare un’armonia che sa
farsi complicità, l’appuntamento nella piazza del paese consente a Macco e
Micco di gustare un caffè in un bar nei paraggi, particolarmente affollato in
attesa della fine di una messa esequiale; bene, è tempo di andare, è tempo di
gara, è tempo di racimolar punti.
"Signora, è vero che lei
sarebbe così gentile da raccontarci qualcosa di questo delizioso paese che è
Patù?”, con fare gentile e premuroso Andrea, dopo aver suonato al campanello
della signora Maria, offrendole un sorriso rassicurante aspetta
–ed insieme a lui tutti noi di Macco-
quel fatidico “Si, certo, accomodatevi pure in casa così parliamo un
po’…”. E invece: “Nah, vagnoni, ca ieu nu suntu mancu de Patù; su de
Castrignanu e nu sacciu nenzi” (Eh, ragazzi, io non sono di Patù; sono di
Castrignano e non so dirvi nulla). Inutile nascondere l’amarezza ma Chiccèccè
non può fermarsi davanti ad una porta chiusa e Macco ha bisogno di risalire la
china dei punti; orsù, procediamo (intascando comunque 1 punto).
Da una stradina che sembra quasi
arrivare da un luogo senza tempo sbuca Salvatore, fermarlo è un obbligo anche
perché si rende necessario capire dove e come poter incontrare qualcuno che
sappia raccontarci qualcosa: “Ragazzi, purtroppo sono di fretta perché devo
andare al funerale e per giunta non sono nemmeno di Patù però la vostra idea è
molto carina, chissà che non diventi un bel progetto di promozione della nostra
terra”. “Certo, grazie, la nostra idea è carina ma se non troviamo qualcuno che
ci aiuti a concretizzarla tutto resterà più difficile”. “Non vi sarà difficile
incontrare qualcuno, è sabato pomeriggio e sono certo troverete un po’ di gente
in giro” (secondo buco nell'acqua, ma ulteriore 1 punto).
Macco non si perde d’animo e torna sui suoi
passi, la piazza è vicina alla chiesa e ci saranno pure delle persone che ci
passeranno, magari dopo essere state al funerale.
Eccola! Da lontano si avvicina
una signora di un’età indefinibile: non più giovanissima, si muove con passo deciso, quasi marziale,
con una cartelletta in mano ed una borsa a tracolla; Macco le va incontro e lei
sfodera un sorriso accogliente e generoso che lascia qualche speranza. “Signora,
ci perdoni se la importuniamo per qualche istante, avremmo bisogno di informazioni su Patù. Vorremmo scambiare
qualche parola con gente del posto che sia disponibile e che abbia voglia di
dedicarci qualche minuto”.
Nel frattempo
le descriviamo sommariamente lo spirito di Chiccèccè. “Volentieri! Avete
un’espressione così entusiasta; ho appena finito di fare catechismo ai ragazzi
e stavo tornando verso casa; se vi va potete venire con me, magari prenderemo
un caffè insieme, mi racconterete di questa vostra bella idea e vedrò di
rendermi utile in qualche modo”. (1 punto)
Finalmente la giusta piega e la
speranza di recuperare qualche punto. Valentina Grecuccio è un’adorabile
professoressa di Lettere in pensione, una vita trascorsa tra i banchi a
spiegare ai ragazzi che un uomo è il risultato di ciò che è, di ciò che vive,
di ciò che ama e di ciò che sa conservare dopo aver appreso.
Lungo il breve tragitto che,
dalla piazza principale conduce a casa sua, Valentina ci parla di Patù e della
sua storia che viene da lontano, ci indica -descrivendocene la bellezza degli
ambienti interni- il superbo palazzo in cui ebbe i natali Liborio Romano,
insigne giurista e deputato e tra i più fecondi e controversi
protagonisti del Risorgimento italiano.
La nobile residenza, che in parte gli
eredi hanno venduto a terzi, domina il prospetto della strada: chiusa nella
semplice austerità delle sue linee architettoniche con il suo carico di
memoria, di storia e di arte è come un monito per la coscienza delle
generazioni presenti; avvolto in un silenzio ingiusto, sfida lo spirito del
tempo e attende con discrezione il recupero di un patrimonio immateriale fatto
di aneliti e di palpiti che hanno animato e sostenuto intere generazioni.
La casa che ha visto nascere e morire questo
famoso figlio di Patù è certamente testimonianza importantissima del panorama
storico-culturale del Capo di Leuca.
Macco fende la parte più antica
del paese camminando e lasciandosi a destra e manca un triste susseguirsi di
vecchie abitazioni, molte delle quali ormai completamente disabitate e lasciate
all’incuria, porte e portoni chiusi,
corti nascoste e scorci davvero mozzafiato; in fondo basterebbe davvero
un’illuminata azione di recupero per riportare agli antichi fasti tanta
bellezza ed imponenza architettonica.
Valentina, nubile, vive con altre
due sorelle: Lucia, vedova, la sarta di
famiglia, si unisce a noi e Matilde che, però, non vediamo.
La casa delle sorelle Grecuccio (5
punti) è un nido accogliente, spartano ed essenziale ma che sa metterci a
nostro agio: pochi mobili, molta luce e tanto calore umano, il calore di chi ha
voglia di compagnia. E Macco è qui per questo! Finalmente un po’ di calma per
raccontare di questa nostra folle idea di narrare di un Salento dei salentini,
di una terra che aspetta d’essere svelata in ogni suo accento, di un luogo che
s'incunea idealmente tra un Oriente esuberante ed un Occidente ancora
timido.
“Ah, ma allora posso darvi la
ricetta della “Cuddhura”, il dolce tipico che un tempo si preparava in
prossimità della Pasqua”, la signora Lucia legge la felicità nei nostri occhi
e, con meticolosa dovizia di particolari, ci descrive la ricetta di questa
prelibatezza che i ragazzi di oggi non conoscono ma che era la gioia di quelli
di un tempo. Pochi e poveri gli ingredienti che, però, erano il collante
di una familiarità spesso disconosciuta e disattesa dal mondo contemporaneo e
che, soprattutto, garantivano alle famiglie di un tempo la gioia delle
festività che passava anche attraverso quel tipo di condivisione.
Mentre la signora Lucia ci
delizia con i particolari della sua ricetta, infarcendola con
racconti di una vita vissuta che si riverbera attraverso una memoria di ferro,
Valentina –nell’adiacente cucina- prepara per tutti noi il caffè (5 punti) che
accompagnerà con dei biscottini (5 punti) riuscendo davvero a farci sentire
come se fossimo in casa nostra.
Prima di congedarci con i saluti di
rito ed un selfie di commiato la professoressa Grecuccio ci fa omaggio di quel
vasetto-totem, della prelibata e delicatissima marmellata di mele cotogne che
soltanto nel Salento sappiamo fare così buona: che dire? Una botta di punti
(35) che probabilmente ci farà spiccare il volo verso la vittoria della tappa,
e sarebbe pure una gran bella iniezione di gioia visto che Macco è in debito ed
in forte affanno.
Riprendiamo a passeggiare per le
vie di Patù - sperando di non incontrare gli agguerriti avversari di Micco per
non dover correre il rischio d’esser da loro seguiti (!)- ed una sorta di fiuto collettivo, che ormai
ci caratterizza , m’induce a suonare il campanello che, discreto e minuscolo, è
sul lato di un monumentale portone ligneo: signor Mario Schina, recita la
targhetta.
Sull’imponente e massiccio portone si apre una ben più piccola
porticina che, incuranti della mancata risposta alla nostra richiesta,
decidiamo di varcare in massa portandoci all’interno della grande corte su cui
si affaccia la casa, corte riccamente ornata di piante e fiori d’ogni tipo (3 punti).
Mario Schina è un omone dalla notevole stazza che, in prima facie,
indurrebbe ad un vero e proprio timore reverenziale ma che, in poche battute,
si rivela essere un uomo affabile e desideroso di chiacchierare in barba
all’iniziale diffidenza ed ai tratti apparentemente burberi che lo presentano.
(1 punto)
Basta spiegargli in quattro
parole lo spirito di Chiccèccè ed è fatta: la casa si spalanca alla nostra
incursione e, grazie alla fierezza della sua guida ed all’orgoglio domestico di
sua moglie Antonella, diventa un vero e proprio scrigno che non smette di
stupire (5 punti).
Quella che nasce come residenza di un’antica
famiglia di proprietari terrieri, che uno zio del signor Schina ha lasciato in
eredità al nipote cresciuto come un figlio, sapientemente recuperata mostra
ancora i tratti di un passato importante almeno nell’impianto strutturale.
Vasi, orci, “padali”, "capase" e recipienti in latta d’ogni forma e
fatta, l’ingombrante corredo di un ambiente dominato da un camino monumentale
che non abbiamo la fortuna di vedere acceso.
Da qui all’esibizione di
tutti i manufatti all’uncinetto ed a filet della signora Antonella il passo è
davvero breve. Pazienza certosina, vista d’aquila e desiderio di perpetuare
un’arte sempre più in affanno, sono gli ingredienti per questi capolavori dall’inestimabile
valore che Antonella realizza con meticolosa determinazione; proviamo ad
immaginare l’entità della dote che la figlia porterà al suo promesso sposo:
inutile… troppo ricca e preziosa.
Il nostro tempo dal signor Schina
si conclude con la degustazione di un delizioso limoncello, liquore
profumatissimo preparato dalla padrona di casa (5 punti) e del quale riusciamo
ad ottenere pure la ricetta, ma non in video, ché Antonella è timida e non se
la sente di farsi immortalare in una ripresa.
La bonomia, la calorosa ospitalità e
l’affabilità della famiglia Schina ci accompagnano fin sul limitare
dell’abitazione a mo’ di eccellente viatico per il prosieguo della nostra
passeggiata per Patù.
Il tempo del chiccèccè patuense sta per scadere, Macco
vorrebbe avidamente racimolare ancora
qualche punto. L'occasione è lì, a pochi
passi da casa Schina.
Ad incuriosirci è il color
turchese degli infissi di un'abitazione che spicca per originalità cromatica. Suoniamo il campanello e il signor Renè Palfenier ci accoglie in giardino
(3 punti). Renè è un olandese di Amsterdam, vive a Patù con la moglie da ormai
vent'anni. È stata sufficiente una vacanza in Salento per innamorarsene.
Scegliere di viverci, alternando soggiorni in Olanda per motivi di lavoro, è
stato naturale come bere un bicchier d'acqua quando si ha sete.
Le sue parole
ci commuovono e ci riempiono di orgoglio. Questo sud così estremo può essere
anche scelta di vita per un cittadino
europeo, può essere predilezione
rispetto a tanti altri bellissimi luoghi d'Italia. Questo bistrattato angolo di
terra conserva ancora quella antica magia che ammalia il visitatore.
Macco, grato a Renè per il racconto di vita e per la passione che il signore
olandese ha saputo trasmettere in un italiano perfetto (1 punto), saluta e si
rimette in strada inciampando con lo sguardo in un masso antico.
Il nostro esperto in questioni
megalitiche è Silvio. Puntualissimo, riconosce in quel masso "Santa
Aloia" una delle pietre dell'antica città messapica di Vereto sulle cui
rovine nacque Patù, conservando questi massi a memoria di quel Pathos da cui
pare derivi il suo nome. Pietre, massi... vero: le Centopietre di Patù! Come
arrivarci lo chiediamo a Mimino ed Antonio braccati da Andrea. (2 punti)
Mimino ci indica la chiesa di San
Giovanni Battista che stranamente, come non avesse avuto nei secoli smania di
mostrarsi, offre al paese il prospetto delle sue terga.
"Le Centopietre
le troverete proprio di fronte alla facciata della chiesa San Giovanni Battista,
non potete sbagliarvi" ci rassicura bonario Mimino indicando con ampi
gesti della braccia quale direzione prendere, convinto di essere incappato in
una strampalata e frettolosa comitiva di turisti nordici.
L'appuntamento di fine gara con
Micco è ormai prossimo e ancora non
abbiamo uno scatto del luogo che è la peculiarità di Patù.
Come anticipiato da Mimino, le
Centopietre son proprio lì, al termine
di un vialetto antistante la romanico-bizantina
chiesa di san Giovanni Battista dove Giuseppina, intenta alla pulizia
del luogo sacro, ci accoglie
raccontandoci di quanto il nuovo parroco tenga a che quel posto sia tenuto in
ordine e pulito, concedendo l'apertura al culto per la messa del sabato
pomeriggio (1 punto).
Il tempo di alcuni scatti
all'interno del tempio che si narra sia stato edificato con i massi dell'antica
Vereto, ed è ora di ricompattare la formazione di Chiccèccè proprio
davanti a quelle "cento pietre" monumento funerario, come ci conferma
una veloce consultazione di Wikipedia.
Databile al IX sec. pare sia il
sepolcro di Giminiano, il barone
messaggero di pace trucidato dai saraceni alla vigilia della battaglia
finale tra cristiani e sararaceni del 24 giugno 877. Fu edificato in forma
rettangolare esattamente con 100 massi recuperati in seguito alla distruzione
dell'antica città.
Si sa: la storia spesso intreccia
le sue trame con leggende che si
tramandano nei secoli perpetuandosi in gesti e tradizioni popolari. Si racconta
infatti che sotto il peso di quelle numerose pietre giacciano i resti di una
bellissima fanciulla uccisa dai turchi. Ancora oggi, la gentile mano del popolo
non manca di farle avere a suffragio un fresco omaggio floreale.
Eccoci dunque a gara finita
ricompattati e pronti per dirigerci insieme sulla collinetta di Vereto. Ancora
massi... in mura di cinta, in resti di pareti di abitazioni. Pietre intrise di storia, cariche della maestria
architettonica dei messapi, grondanti quel pathos di battaglie antiche. Immutate
testimoni dei secoli che si sono susseguiti in questa terra di accoglienza e di
passaggio, preziosa porta di accesso a quell'occidente così ambito dalle
popolazioni dell'est, continueranno ad essere sentinelle del tempo che verrà.
Pietre, massi, una chiesetta intitolata alla Madonna di
Vereto e Micco e Macco che tra qualche reciproco sfottò si raccontano i
successi raccolti nel corso del tour patuense, pregustando già
nuove avventure.
Federica, Francesca C., Francesca
S., Rocco, Silvio, Andrea, i componenti della squadra Macco dell'escursione a
Patù, ricchi di questa nuova esperienza e con un notevole bottino di punti in
saccoccia, riporranno le armi per qualche settimana.
Dove li ritroveremo?! A quali
porte busseranno? Una sola certezza: la
prossima meta non potrà che essere più a nord.
Reduce dal secondo posto nella tappa di Muro, la squadra "Macco" guadagna 76 punti nella tappa di Patù, piazzandosi davanti alla squadra avversaria "Micco" (la cui gara potete leggere qui).
E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express". E, ovviamente, #chicceccè!
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