sabato 19 aprile 2014

Macco a Patù: Centopietre e una cotognata in Finibus Terrae




Squadra: "Macco"
Narratore: Rocco.

Come fosse un piccolo totem, Valentina esibisce un vasetto di  marmellata di mele cotogne, prestandosi simpaticamente ad una posa da selfie circondata dagli increduli Macco. Uno scatto immortala il colore intenso di un dono e diventa sigillo di una sfida che, probabilmente, segnerà la prima insperata vittoria di Macco nel tour salentino di Chiccèccè.

Teatro di questo strabiliante risultato è la casa della professoressa Valentina Grecuccio, a Patù. Lì la penisola salentina si restringe fino a consegnarsi a Santa Maria di Leuca e, da qui, allo Jonio: un agglomerato urbano grande poco più di un fazzoletto ed interamente dominato dalla Serra di Vereto, antico e glorioso presidio messapico del quale restano la memoria e l’imponenza immaginifica dell’originaria struttura.

Patù, nel profondissimo Sud di un’Italia, di una Puglia, di un Salento che non smettono mai di sorprendere, un paese con un imprinting ineludibile nel proprio topos e con un’insopprimibile voglia di raccontarsi e di raccontare la sua storia, un paese che non si rassegna all’oblìo di chi vorrebbe preferire luoghi più patinati ma, spesso, meno vissuti nel senso più verace dell’espressione e decisamente più contaminati.


Un sabato pomeriggio d’inizio aprile, uno di quei giorni in cui, senza la certezza del calendario, non si saprebbe definire la stagione. Il cielo minaccia una pioggia che non verrà ma, che incombe penzolante proprio come spada di Damocle. Forte soffia un vento che viene dal mare, quello scirocco ebbro di umidità che sconvolge e sfianca ma che è il suono più autentico della nostra terra. Nel complesso l’aria si tinge di un grigio insensato.


Macco e Micco di nuovo insieme, Macco e Micco di nuovo in gara, Macco e Micco di nuovo in cerca di parole d’ascoltare e di vicende da narrare, Macco e Micco a fotografar volti, case e pietre di una vitalità spesso nascosta ma così ricca di umanità. Un giro per i luoghi di un Salento estraneo alle copertine eppur così autenticamente vero, e Patù ci accoglie col fascino senza tempo di un paese quasi ai margini di una contemporaneità che, però, sa ancora custodire la gloria di quel passato che lo ha voluto importantissimo centro messapico.


A sugellare un’armonia che sa farsi complicità, l’appuntamento nella piazza del paese consente a Macco e Micco di gustare un caffè in un bar nei paraggi, particolarmente affollato in attesa della fine di una messa esequiale; bene, è tempo di andare, è tempo di gara, è tempo di racimolar punti.


"Signora, è vero che lei sarebbe così gentile da raccontarci qualcosa di questo delizioso paese che è Patù?”, con fare gentile e premuroso Andrea, dopo aver suonato al campanello della signora  Maria,  offrendole un sorriso rassicurante aspetta –ed insieme a lui tutti noi di Macco-  quel fatidico “Si, certo, accomodatevi pure in casa così parliamo un po’…”. E invece: “Nah, vagnoni, ca ieu nu suntu mancu de Patù; su de Castrignanu e nu sacciu nenzi” (Eh, ragazzi, io non sono di Patù; sono di Castrignano e non so dirvi nulla). Inutile nascondere l’amarezza ma Chiccèccè non può fermarsi davanti ad una porta chiusa e Macco ha bisogno di risalire la china dei punti; orsù, procediamo (intascando comunque 1 punto).

Da una stradina che sembra quasi arrivare da un luogo senza tempo sbuca Salvatore, fermarlo è un obbligo anche perché si rende necessario capire dove e come poter incontrare qualcuno che sappia raccontarci qualcosa: “Ragazzi, purtroppo sono di fretta perché devo andare al funerale e per giunta non sono nemmeno di Patù però la vostra idea è molto carina, chissà che non diventi un bel progetto di promozione della nostra terra”. “Certo, grazie, la nostra idea è carina ma se non troviamo qualcuno che ci aiuti a concretizzarla tutto resterà più difficile”. “Non vi sarà difficile incontrare qualcuno, è sabato pomeriggio e sono certo troverete un po’ di gente in giro” (secondo buco nell'acqua, ma ulteriore 1 punto)


Macco non si perde d’animo e torna sui suoi passi, la piazza è vicina alla chiesa e ci saranno pure delle persone che ci passeranno, magari dopo essere state al funerale.

Eccola! Da lontano si avvicina una signora di un’età indefinibile: non più giovanissima,  si muove con passo deciso, quasi marziale, con una cartelletta in mano ed una borsa a tracolla; Macco le va incontro e lei sfodera un sorriso accogliente e generoso che lascia qualche speranza. “Signora, ci perdoni se la importuniamo per qualche istante, avremmo bisogno di  informazioni su Patù. Vorremmo scambiare qualche parola con gente del posto che sia disponibile e che abbia voglia di dedicarci qualche minuto”.   
Nel frattempo le descriviamo sommariamente lo spirito di Chiccèccè. “Volentieri! Avete un’espressione così entusiasta; ho appena finito di fare catechismo ai ragazzi e stavo tornando verso casa; se vi va potete venire con me, magari prenderemo un caffè insieme, mi racconterete di questa vostra bella idea e vedrò di rendermi utile in qualche modo”. (1 punto


Finalmente la giusta piega e la speranza di recuperare qualche punto. Valentina Grecuccio è un’adorabile professoressa di Lettere in pensione, una vita trascorsa tra i banchi a spiegare ai ragazzi che un uomo è il risultato di ciò che è, di ciò che vive, di ciò che ama e di ciò che sa conservare dopo aver appreso.


Lungo il breve tragitto che, dalla piazza principale conduce a casa sua, Valentina ci parla di Patù e della sua storia che viene da lontano, ci indica -descrivendocene la bellezza degli ambienti interni- il superbo palazzo in cui ebbe i natali Liborio Romano, insigne giurista e deputato e tra i più fecondi e controversi protagonisti del Risorgimento italiano. 
La nobile residenza, che in parte gli eredi hanno venduto a terzi, domina il prospetto della strada: chiusa nella semplice austerità delle sue linee architettoniche con il suo carico di memoria, di storia e di arte è come un monito per la coscienza delle generazioni presenti; avvolto in un silenzio ingiusto, sfida lo spirito del tempo e attende con discrezione il recupero di un patrimonio immateriale fatto di aneliti e di palpiti che hanno animato e sostenuto intere generazioni. 
La casa che ha visto nascere e morire questo famoso figlio di Patù è certamente testimonianza importantissima del panorama storico-culturale del Capo di Leuca.


Macco fende la parte più antica del paese camminando e lasciandosi a destra e manca un triste susseguirsi di vecchie abitazioni, molte delle quali ormai completamente disabitate e lasciate all’incuria,  porte e portoni chiusi, corti nascoste e scorci davvero mozzafiato; in fondo basterebbe davvero un’illuminata azione di recupero per riportare agli antichi fasti tanta bellezza ed imponenza architettonica.



Valentina, nubile, vive con altre due sorelle: Lucia, vedova,  la sarta di famiglia, si unisce a noi e Matilde che, però, non vediamo.


La casa delle sorelle Grecuccio (5 punti) è un nido accogliente, spartano ed essenziale ma che sa metterci a nostro agio: pochi mobili, molta luce e tanto calore umano, il calore di chi ha voglia di compagnia. E Macco è qui per questo! Finalmente un po’ di calma per raccontare di questa nostra folle idea di narrare di un Salento dei salentini, di una terra che aspetta d’essere svelata in ogni suo accento, di un luogo che s'incunea idealmente tra un Oriente esuberante ed un Occidente ancora timido.


Ah, ma allora posso darvi la ricetta della “Cuddhura”, il dolce tipico che un tempo si preparava in prossimità della Pasqua”, la signora Lucia legge la felicità nei nostri occhi e, con meticolosa dovizia di particolari, ci descrive la ricetta di questa prelibatezza che i ragazzi di oggi non conoscono ma che era la gioia di quelli di un tempo. Pochi e poveri gli ingredienti che, però, erano il collante di una familiarità spesso disconosciuta e disattesa dal mondo contemporaneo e che, soprattutto, garantivano alle famiglie di un tempo la gioia delle festività che passava anche attraverso quel tipo di condivisione.


Mentre la signora Lucia ci delizia con i particolari della sua ricetta, infarcendola con racconti di una vita vissuta che si riverbera attraverso una memoria di ferro, Valentina –nell’adiacente cucina- prepara per tutti noi il caffè (5 punti) che accompagnerà con dei biscottini (5 punti) riuscendo davvero a farci sentire come se fossimo in casa nostra.

Prima di congedarci con i saluti di rito ed un selfie di commiato la professoressa Grecuccio ci fa omaggio di quel vasetto-totem, della prelibata e delicatissima marmellata di mele cotogne che soltanto nel Salento sappiamo fare così buona: che dire? Una botta di punti (35) che probabilmente ci farà spiccare il volo verso la vittoria della tappa, e sarebbe pure una gran bella iniezione di gioia visto che Macco è in debito ed in forte affanno.


Riprendiamo a passeggiare per le vie di Patù - sperando di non incontrare gli agguerriti avversari di Micco per non dover correre il rischio d’esser da loro seguiti (!)-  ed una sorta di fiuto collettivo, che ormai ci caratterizza , m’induce a suonare il campanello che, discreto e minuscolo, è sul lato di un monumentale portone ligneo: signor Mario Schina, recita la targhetta. 

Sull’imponente e massiccio portone si apre una ben più piccola porticina che, incuranti della mancata risposta alla nostra richiesta, decidiamo di varcare in massa portandoci all’interno della grande corte su cui si affaccia la casa, corte riccamente ornata di piante e fiori d’ogni tipo (3 punti). 

Mario Schina è un omone dalla notevole stazza che, in prima facie, indurrebbe ad un vero e proprio timore reverenziale ma che, in poche battute, si rivela essere un uomo affabile e desideroso di chiacchierare in barba all’iniziale diffidenza ed ai tratti apparentemente burberi che lo presentano. (1 punto)


Basta spiegargli in quattro parole lo spirito di Chiccèccè ed è fatta: la casa si spalanca alla nostra incursione e, grazie alla fierezza della sua guida ed all’orgoglio domestico di sua moglie Antonella, diventa un vero e proprio scrigno che non smette di stupire (5 punti).


Quella che nasce come residenza di un’antica famiglia di proprietari terrieri, che uno zio del signor Schina ha lasciato in eredità al nipote cresciuto come un figlio, sapientemente recuperata mostra ancora i tratti di un passato importante almeno nell’impianto strutturale. Vasi, orci, “padali”, "capase" e recipienti in latta d’ogni forma e fatta, l’ingombrante corredo di un ambiente dominato da un camino monumentale che non abbiamo la fortuna di vedere acceso. 

Da qui all’esibizione di tutti i manufatti all’uncinetto ed a filet della signora Antonella il passo è davvero breve. Pazienza certosina, vista d’aquila e desiderio di perpetuare un’arte sempre più in affanno, sono gli ingredienti per questi capolavori dall’inestimabile valore che Antonella realizza con meticolosa determinazione; proviamo ad immaginare l’entità della dote che la figlia porterà al suo promesso sposo: inutile… troppo ricca e preziosa.


Il nostro tempo dal signor Schina si conclude con la degustazione di un delizioso limoncello, liquore profumatissimo preparato dalla padrona di casa (5 punti) e del quale riusciamo ad ottenere pure la ricetta, ma non in video, ché Antonella è timida e non se la sente di farsi immortalare in una ripresa. 

La bonomia, la calorosa ospitalità e l’affabilità della famiglia Schina ci accompagnano fin sul limitare dell’abitazione a mo’ di eccellente viatico per il prosieguo della nostra passeggiata per Patù.

Il tempo del  chiccèccè patuense sta per scadere, Macco vorrebbe avidamente  racimolare ancora qualche punto. L'occasione è lì,  a pochi passi da casa Schina.


Ad incuriosirci è il color turchese degli infissi di un'abitazione che spicca per originalità cromatica. Suoniamo il campanello e il signor Renè Palfenier ci accoglie in giardino (3 punti). Renè è un olandese di Amsterdam, vive a Patù con la moglie da ormai vent'anni. È stata sufficiente una vacanza in Salento per innamorarsene. Scegliere di viverci, alternando soggiorni in Olanda per motivi di lavoro, è stato naturale come bere un bicchier d'acqua quando si ha sete. 
 
Le sue parole ci commuovono e ci riempiono di orgoglio. Questo sud così estremo può essere anche  scelta di vita per un cittadino europeo, può essere   predilezione rispetto a tanti altri bellissimi luoghi d'Italia. Questo bistrattato angolo di terra conserva ancora quella antica magia che ammalia il visitatore.
Macco, grato a Renè per il racconto di vita e per la passione che il signore olandese ha saputo trasmettere in un italiano perfetto (1 punto), saluta e si rimette in strada inciampando con lo sguardo in un masso antico.


Il nostro esperto in questioni megalitiche è Silvio. Puntualissimo, riconosce in quel masso "Santa Aloia" una delle pietre dell'antica città messapica di Vereto sulle cui rovine nacque Patù, conservando questi massi a memoria di quel Pathos da cui pare derivi il suo nome. Pietre, massi... vero: le Centopietre di Patù! Come arrivarci lo chiediamo a Mimino ed Antonio braccati da Andrea. (2 punti)


Mimino ci indica la chiesa di San Giovanni Battista che stranamente, come non avesse avuto nei secoli smania di mostrarsi, offre al paese il prospetto delle sue terga. 


"Le Centopietre le troverete proprio di fronte alla facciata della chiesa San Giovanni Battista, non potete sbagliarvi" ci rassicura bonario Mimino indicando con ampi gesti della braccia quale direzione prendere, convinto di essere incappato in una strampalata e frettolosa comitiva di turisti nordici.

L'appuntamento di fine gara con Micco  è ormai prossimo e ancora non abbiamo uno scatto del luogo che è la peculiarità di Patù.


Come anticipiato da Mimino, le Centopietre son proprio lì,  al termine di un vialetto antistante la romanico-bizantina  chiesa di san Giovanni Battista dove Giuseppina, intenta alla pulizia del luogo sacro,   ci accoglie raccontandoci di quanto il nuovo parroco tenga a che quel posto sia tenuto in ordine e pulito, concedendo l'apertura al culto per la messa del sabato pomeriggio (1 punto).



Il tempo di alcuni scatti all'interno del tempio che si narra sia stato edificato con i massi dell'antica Vereto, ed è ora di ricompattare la formazione di Chiccèccè proprio davanti a quelle "cento pietre" monumento funerario, come ci conferma una veloce consultazione di Wikipedia.



Databile al IX sec. pare sia il sepolcro di Giminiano, il barone  messaggero di pace trucidato dai saraceni alla vigilia della battaglia finale tra cristiani e sararaceni del 24 giugno 877. Fu edificato in forma rettangolare esattamente con 100 massi recuperati in seguito alla distruzione dell'antica città.  

Si sa: la storia spesso intreccia le sue trame con leggende  che si tramandano nei secoli perpetuandosi in gesti e tradizioni popolari. Si racconta infatti che sotto il peso di quelle numerose pietre giacciano i resti di una bellissima fanciulla uccisa dai turchi. Ancora oggi, la gentile mano del popolo non manca di farle avere a suffragio un fresco omaggio floreale.


Eccoci dunque a gara finita ricompattati e pronti per dirigerci insieme sulla collinetta di Vereto. Ancora massi... in mura di cinta, in resti di pareti di abitazioni. Pietre intrise di storia, cariche della maestria architettonica dei messapi, grondanti quel pathos di battaglie antiche. Immutate testimoni dei secoli che si sono susseguiti in questa terra di accoglienza e di passaggio, preziosa porta di accesso a quell'occidente così ambito dalle popolazioni dell'est, continueranno ad essere sentinelle del tempo che verrà.


Pietre, massi,  una chiesetta intitolata alla Madonna di Vereto e Micco e Macco che tra qualche reciproco sfottò si raccontano i successi raccolti nel corso del tour patuense, pregustando già nuove avventure.


Federica, Francesca C., Francesca S., Rocco, Silvio, Andrea, i componenti della squadra Macco dell'escursione a Patù, ricchi di questa nuova esperienza e con un notevole bottino di punti in saccoccia, riporranno le armi per qualche settimana. 


Dove li ritroveremo?! A quali porte busseranno? Una  sola certezza: la prossima meta non potrà che essere più a nord.



Reduce dal secondo posto nella tappa di Muro, la squadra "Macco" guadagna 76 punti nella tappa di Patù, piazzandosi davanti alla squadra avversaria "Micco" (la cui gara potete leggere qui).  
E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express". E, ovviamente, #chicceccè!




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