Cercatori: Monica, Graziano, Chiara, Cesà, Serena.
Narratore: Danilo
La stanza è grande e buia. Odora di tarli e stoffa antica. In fondo, un rigo verticale di luce. Davanti a noi, una voce fa strada: “un attimo che apro la finestra. Scusate, ma questo è il nostro deposito”.
Il “deposito” si rivela uno squillante salone delle feste: le poltrone ricoperte di stoffa per preservarle dalla polvere, le pareti popolate di antenati che ci fissano austeri.
“Non ritraggono noi Pizzolante Leuzzi, signori di Ruffano – ci informa donna Carla, proprietaria della voce che ci ha guidato nella semioscurità – ma i nostri parenti Sangiovanni, signori di Alessano”.
“Ma che è qua, il palazzo del Gattopardo?” dice a mezza bocca Monica, dando voce ai pensieri di tutta la squadra di Micco.
Siamo sbarcati un’ora prima in questo paesino del capo di Leuca, a 50 chilometri da Lecce; l’obiettivo è sempre lo stesso: battere i nostri concorrenti, la squadra dei Macco, secondo il regolamento del gioco.
E soprattutto conoscere dall’interno Ruffano, questo paese accocuzzolato su una serra che lo rende un balcone naturale sui Paduli, l’area al centro-sud della provincia di Lecce che custodisce la tradizione agricola più antica e meno bucolica del Salento.
Torrepaduli si chiama infatti la frazione che si stende ai piedi di Ruffano, dove i contadini bevevano vino e regolavano i conti, coltello alla mano, una volta all’anno: il 15 agosto, nella notte di San Rocco.
Da secoli i signori di Ruffano hanno guardato quelle feste da lontano, dall’alto dei propri balconi.
E proprio sul balcone ci invita donna Carla, ultima rappresentante, insieme alle sorelle Carmen e Francesca, del ramo cadetto della famiglia Pizzolante-Leuzzi.
Le tre sorelle, tutte oltre la sessantina, vivono nel settecentesco palazzo Pinto che – si vede – è il loro orgoglio. “Non guardate solo il salone… vedete che panorama?” sorride questa donna dai modi eleganti e dalle ciglia lunghissime.
E ha ragione: dal balcone sui Paduli si scorge Ruffano e la sua frazione e, ancora più in là, gli interminabili oliveti che arrivano fino al mare che guarda l’Albania e la Grecia.
Serena si rivolge, serissima, verso la donna che ha lo sguardo perso all’orizzonte: “non è che avete bisogno di una figlia adottiva, no?”. “Ahahah… ah, figlia mia…” lascia cadere, ridendo, la signorina.
Sarà poco elegante fare i conti, ma aver suonato il campanello del palazzo gentilizio Pizzolante, che sorge (come un omaggio del paese alla famiglia) proprio in via Pizzolante, ci è valso un bel gruzzolo di punti.
Per la precisione: 3 punti per il contatto avuto con le tre signorine, altri 3 per la visita all’atrio affrescato dal quale Francesca ci fa accedere al piano nobile, 5 per l’ingresso in quella vera e propria galleria di quadri e mobili antichi ospitata dal palazzo. Carmen, la sorella più timida, si affaccia appena alla porta, insieme curiosa e timorosa di quegli invasori, mentre Graziano con la sua maglietta di Game of Thrones si sente perfettamente a suo agio nel palazzo nobiliare. “Potrei avere un bicchiere d’acqua?” rilancia Danilo, sperando in ulteriori 5 punti. E in effetti Francesca scompare nei recessi della cucina, dalla quale torna reggendo una cerimoniosa coppa d’acqua su un vassoio: “prego”.
È uno stile d’altri tempi, quella che regna nel palazzo delle tre sorelle: decoro nella casa, culto per gli antenati, devozione religiosa. E riassume bene una delle anime di questo paese e del suo centro storico ben conservato e ribasolato di fresco. Che però ha anche un’altra anima, popolana e verace, come abbiamo visto poco prima di entrare nel palazzo gentilizio.
“Sì, ma pezze pezze l’hanno fatto, sto basolato? Qui c’è, lì non c’è… io devo camminare o saltare?” si era lamentata una comare, nel cuore del borgo (1 punto per noi).
A ricevere la lamentela è Nicola, ex sindaco di Ruffano che (in quanto ex) alza le mani: “E io che c’entro, beddha mia?” chiede.
Abbiamo incontrato Nicola poco prima nella piazza principale, dove si affacciano la chiesa matrice, il palazzo marchesale e “La farmacia dei sani”, il ristorante di Fabio e Francesco: la sorridente ospitalità dei fratelli Rizzo sarà il punto di partenza e di arrivo del nostro tour.
“Chiccèccè oggi a Ruffano, che onore!” ci apostrofa Nicola (1 punto). Noi gli chiediamo informazioni e lui vorrebbe rimandarci ai volumi di Aldo De Bernart, studioso di storia locale.
Noi preferiamo vagare alla ricerca di colori più immediati: da piazza del Popolo ci dirigiamo verso la via de menzu, che spacca il centro storico e unisce la Porta della Piazza (che tutti chiamano Porta Mare) alla Porta Terra.
Tutto è pavesato a festa, il borgo è reduce dai festeggiamenti del patrono San Marco: la facciata della chiesa matrice, stretta nella stradina, ci offre le sue morbide volute di pietra.
Danilo entra e rimane di stucco: quella chiesa sconosciuta ai più è un trionfo barocco di altari scolpiti, putti sporgenti, dipinti chiaroscuri, statue istoriate.
Sul pulpito di legno campeggia un’aquila a due teste: stemma della vicinissima Albania, ma anche simbolo dell’ambivalenza di una terra, il Salento, con una testa rivolta a oriente e un’altra ad occidente.
Attirata dagli scatti dello smartphone, e forse disturbata nel suo rosario pomeridiano, una vecchietta vestita di nero si avvicina: “sai che sono quelle?” dice,indicando delle inferriate che campeggiano in un angolo della chiesa (1 punto).
“Da quelle grate i nobili si vedevano la messa senza muoversi da casa loro: neanche nella stessa chiesa volevano stare, con noi altri poverelli”.
La storia della vecchietta è assolutamente rispondente alla verità storica del "privilegio di grata", come verificheremo più avanti e si può già leggere qui.
Danilo, rimasto indietro, si affretta a raggiungere i suoi compagni di squadra: lungo la via de menzu ferma un'auto per chiedere indicazioni: le informazioni accumulate saranno pressocché nulle, ma il contatto prontamente documentato da Cesà vale 1 punto.
Chiara, Graziano, Serena e Monica hanno già raggiunto Porta Terra: ed è qui che un’altra anima del paese, più popolana e verace, ci si presenta sotto le forme di nonna Rosa, che torna a casa mano nella mano con una donna più giovane.
Monica e Serena la avvistano da lontano e, con un agguato in piena regola, stoppano madre e figlia prima che raggiungano la porta di casa (2 punti).
Danilo e Graziano pensano bene di mettere in cassa qualche punto e chiedono un bicchiere d’acqua: Anna, premurosa ma attenta, schiva l’invito ad accomodarsi in casa e porta in strada acqua e bicchieri: 5 punti basteranno.
“Ha qualche storia da raccontarci, signora?” chiede timidamente Cesà. Apriti cielo: nonna Rosa è un fiume in piena. “Ma tu lo sai che mio marito mi ha sposato per scommessa? Avevo 13 anni…” esordisce, destando l’incredulità generale. Sarà Anna a spiegare che l’arzilla madre ha da poco festeggiato i 93 anni di età e i 70 di matrimonio: “si è sposata a 23 anni, non a 13!” assicura.
In questo fiume di aneddoti e di fatti apprendiamo anche che nonna Rosa, dopo il suo matrimonio in rosa, ha partorito 11 figli; alcuni dei suoi nipoti, i fratelli Pastore, partiti da Ruffano sono tra gli imprenditori turistici più in vista di Gallipoli, dove gestiscono due discoteche e due ristoranti.
“E non ha una ricetta tipica da raccontarci, signora?” chiede Chiara “ad esempio, come fa le sagne?”. Così, nel vicoletto basolato, apprendiamo da questa nonnina 93enne il segreto delle sagne torte, un segreto che consiste in una carezza e che voi potete leggere per intero qui (e che a noi frutta 10 punti).
Grati e divertiti, salutiamo nonna Rosa e ci inoltriamo nel piccolo ma graziosissimo borgo ruffanese: ci si presenta un “Salento da cartolina”, tanto tipico da sembrare finto, approntato da qualche esperto scenografo.
E invece qui è tutto vero: dagli angoli fioriti di geranio al cielo che si apre nei vicoli di pietra, dai portali consunti alle capase sull’uscio, fino alle comari di vedetta sul balcone che sovrasta la terza porta del centro storico, tanto piccola da essere chiamata Porta Falsa o porticeddha.
“Buonasera signore, avete qualche storia da raccontarci?” prova ad attaccare bottone Danilo.
“Voi chi siete? L’altra squadra?” lo gela la prima comare.
“Abbiamo raccontato già tutto agli amici vostri” rincara la seconda.
“E pure la ricetta gli abbiamo spiegato” conclude la terza.
E insieme, le tre scoppiano a ridere: ai Micco non resta che mettere in cassa solo 3 punti e ritornare nello spirito del gioco.
Monica parte all'attacco di due donne, sedute su una panca di pietra, con l'ago in mano; saluta entrambe, che rispondono (2 punti per noi) e poi attacca il bonario interrogatorio: "che ricamo è, signora?". "Macramè, è quello tradizionale del mio paese, la Romania" risponde la più grande che sfoggia occhiali grandi e una chioma bicolore frutto di una tintura ormai passata a miglior vita. "E come mai è qui a Ruffano?" incalza la ragazza. "Per lavorare, no? Assisto il signore", spiega la badante, indicandoci al di là della porta semiaperta un anziano a letto.
Ci allontaniamo con discrezione, non senza un pensiero di gratitudine a quelle lavoratrici che magari hanno lasciato in patria i propri vecchi e i propri bambini per venire qui ad accudire i nostri.
Facciamo qualche passo in avanti, dentro la corte piccola e luminosa che si apre lì accanto: un’insegna azzurra “studio d’arte” campeggia accanto ad una porta; “c’è nessuno?” chiama Serena.
“Mia moglie arriva subito… prego!” risuona una voce dall’alto (1 punto). Entriamo tutti nella corte (3 punti per noi) e pochi secondi dopo la porta si apre: ad aprirci è il sorriso aperto di Pamela Maglie (1 punto).
Poche spiegazioni basteranno affinché la porta si spalanchi del tutto per farci entrare (5 punti) nel laboratorio artistico di questa ragazza dalle idee chiare e dall’estro insospettato. “Uso materiali che possono sembrare poveri – spiega – dal filo di ferro alla carta, ai ciottoli di mare: ma è come li usi e li lavori che fa la differenza”.
Come tutte le persone che hanno trasformato la propria passione in una professione, Pamela cambia faccia quando ne parla; sul viso il sorriso lascia il campo ad una concentrazione leggera ma appassionata, che si riflette nei suoi gioielli fatti a mano: bracciali, orecchini, anelli, oggetti e soprammobili.
Le ragazze ovviamente impazziscono, sommergendo l’artigiana di complimenti e facendole capire quanto sarebbe gradito un regalo per arrotondare il punteggio della squadra. L’assedio di sottintesi funziona, Pamela capitola: le tre ragazze, ovvero Chiara, Monica e Serena vengono omaggiate di un anello, che vale 35 punti per la squadra dei Micco.
“E a noi almeno un caffè non lo offri?” buttano lì - al colmo della sfacciataggine - Cesà, Graziano e Danilo, rimasti a secco di regali. La faccia tosta è premiata: tutti i Micco vengono invitati in casa (5 punti) e fatti accomodare su un nuovo spettacolare balcone. I Paduli, ancora una volta, si offrono in tutta la loro grazia allo sguardo e alle foto dei visitatori, schermati appena da qualche pianta rampicante che esalta il panorama più che nasconderlo.
Quello dell’artista di Ruffano è un balcone meno sfarzoso di quello del palazzo Pizzolante-Leuzzi; ma è più intimo e vivo: il campanile sullo sfondo, fiori e stelle sparsi, il sorriso della figlioletta (1 punto) che ci mostra orgogliosa il suo zoo domestico, fatto di criceti e tartarughe.
E la madre che torna dalla cucina carica di cibo e bevande: “se volete favorire, non solo per i punti”, dice ridendo.
E in effetti il contatore s’impenna: Graziano e Cesà si dedicano alla torta al cioccolato (5 punti); Serena al thè verde, servito bollente (5 punti); Monica e Danilo chiedono l’ennesimo bicchiere d’acqua (5 punti); anche Chiara, che si era appartata per terminare una corrispondenza per Repubblica, non resiste al richiamo e si unisce per il caffè (5 punti) e la foto di rito.
Si sta bene, su questo balcone arioso sul quale la padrona di casa ci racconta delle sue ricerche sull’antica tecnica della tintura.
“Ruffano ha una lunga tradizione di coloranti naturali: si estraevano dalla la ginestra, dal mallo di noce, dalla porpora e si fissavano tramite l’urina degli animali che, essendo acida, è un ottimo fissante”.
La sapienza contadina che ritorna sotto forma d’arte: non è forse questo il senso profondo del lavoro di recupero che i Paduli (ben aiutati dai ricercatori del Lua, come potete vedere qui) stanno facendo su se stessi?
Tra domande e racconti si è fatto però troppo tardi. Pamela ci accompagna in strada e ci regala l’ultima storia legata alla sua abitazione e al piccolo borgo: “vedete questo piccolo ambiente scavato al lato della scala? Sapete di che cosa si tratta?”
È l’ultima sorpresa, umile e antica, che ci riserva questa tappa del nostro tour ruffanese. “Dobbiamo scappare via, ma grazie davvero di tutto” è il saluto di tutta la squadra a questa straordinaria e ospitale artista che ha aperto laboratorio e casa, sorriso e racconto a noi visitatori.
Ritorniamo nel fluire dei vicoli del piccolo centro storico: Cesà tenta l’approccio con una donna che porta un mazzo di fiori. “Scusate, vado di fretta” risponde lei (1 solo punto per noi), mentre ritorniamo in quella piazza del Popolo che è l’ombelico del paese.
Uno sfaccendato si guarda intorno, Serena lo aggancia al volo (1 punto). “Ma cosa c’è da vedere a Ruffano di bello?” “Di bello? Niente! Che perché, secondo te, signorina, se ne vanno tutti alla Svizzera?”.
Fra le risate generali, Serena spiega meglio lo spirito del gioco e l’uomo ci indica il palazzo di fronte: “ora ci abita don Francesco – spiega – quello sì che è da vedere… se mai ci riuscite” aggiunge sibillino. Cosa voglia dire ci verrà spiegato più avanti: “don” Francesco Pizzolante Leuzzi è l’ultimo occupante di un “castello” dalla grande storia ma poco amato dai suoi proprietari. Chi vuole approfondire l'affascinante storia del "castello" di Ruffano e delle famiglie nobili che l'hanno posseduto può farlo cliccando qui. A voi, intanto, basti sapere che i Micco escono dal palazzo Pizzolante-Leuzzi, bellissimo ma in rovina, carichi di storie e di stemmi ma senza neanche un punto in tasca.
Il punteggio maggiore ci verrà invece, ancora una volta, dall’anima popolana di Ruffano: siamo sbucati nuovamente in piazza e abbiamo ritrovato Nicola, al quale raccontiamo le tappe del tour. “E quindi palazzo Licci vi manca… venite!” dice lui.
Lo seguiamo, varcando Porta Mare e lasciandoci la rocca alle spalle; la bellezza seicentesca di Ruffano continua a colpirci, mentre la bellezza contemporanea di Serena continua a colpire i ruffanesi. Qualche apprezzamento al suo indirizzo (1 punto) vola all’altezza del comitato elettorale di Forza Italia, partito fortissimo da queste parti: l’aristocratica Ruffano guarda da sempre a destra, come la contadina Torrepaduli è da sempre roccaforte di sinistra.
Lungi dalla politica, sarà però una storia di donne quella che Danilo si sente raccontare in dialetto purissimo sulla porta del comitato elettorale forzista: dopo aver salutato gli otto astanti (che, risalutando uno per uno, portano 8 punti alla squadra dei Micco), uno attacca a raccontare senza alcun motivo apparente la storia di Elena, fusciuta via di casa.
Difficile dire se il riferimento sia all’omerica guerra di Troia che proprio dalla fuga di una Elena si originò: di certo il frammento di cuntu registrato da Danilo vale, oltre a molte risate, 15 punti per i nostri eroi.
E siamo così arrivati all’ultima tappa del nostro tour ruffanese. Ci dirigiamo verso palazzo Licci, mentre il pomeriggio che ormai scolora verso sera.
Noi ci guardiamo intorno: donne di vedetta sul balcone a godersi l’aria fresca, portoni bugnati intorno ai quali uomini, donne, cani e bambini ruotano in una variopinta umanità, il comando di polizia municipale sistemato dentro una cappella seicentesca, logge incorniciati da vicoli di pietra e scampoli di cielo e infine la lunga fila di mensole di pietra che regge la balconata di palazzo Licci.
Entriamo nell'edificio nobiliare, adornato da una bella loggia, tramite un portone sopra il quale si regge una miracolosa bifora: più tardi la vedremo da vicino, ora dobbiamo raggiungere tramite una bella scalinata il piano nobile per un giro nello splendido palazzo, che merita una pagina a parte nel nostro tour, una pagina che potete leggere cliccando qui
Per quanto molto bella, però, la visita a Palazzo Licci si rivela fallimentare per la nostra gara: i 14 punti complessivi che ne ricaviamo sono controbilanciati dal ritardo rispetto all'appuntamento con i nostri avversari.
Ecco perché quando ci congediamo con mille ringraziamenti dalla padrona di casa ci affrettiamo verso la piazza del Popolo, luogo dell’appuntamento con i Macco: li troviamo imbufaliti e ben decisi a farci scontare il nostro quarto d’ora (abbondante) di ritardo. “15 punti di penalizzazione e non se ne parli più” concordiamo senza (troppi) litigi: per il tour finale nel palazzo Licci e nel suo giardino valeva la pena di perdere qualche punto.
E poi a consolarci ci pensano le generose pittule e il fresco rosato dei fratelli Rizzo, che ci aprono nuovamente le porte del loro locale, ospitato al piano terra del palazzo Pizzolante-Leuzzi.
E così, con un brindisi alla nobile Ruffano e al suo popolo verace e ospitale, concludiamo degnamente questa tappa intensa e bella del nostro tour, ringraziando chi ci ha fatto conoscere questo piccolo paese, balcone idealmente in bilico tra il mare di Leuca e la terra dei Paduli.
Reduce da una vittoria di misura nella precedente tappa di Copertino, la squadra "Macco" totalizza 153 punti nella tappa di Ruffano, ma viene penalizzata di 15 per il ritardo all'appuntamento finale, per cui il punteggio finale è di 138. Si realizza così un inedito risultato: il pareggio con la squadra avversaria, "Micco", il cui tour potete leggere qui. Ci si prepara così alla prossima sfida del "Salento Express". E, ovviamente, #chicceccè!